E’ morto Gian Paolo Calchi Novati!

downloadE’ morto Gian Paolo Calchi Novati, storico del cosiddetto “terzo mondo” e della politiche coloniali.  Fondatore dell’IPALMO, Istituto per le Relazioni tra l´Italia e i paesi dell´Africa, America Latina, Medio ed Estremo Oriente, animatore dell’ISPI, Istituto per gli Studi di Politica Internazionale.

Lascia una eredità straordinaria di studi e di ricerche che ha permesso la nascita in Italia di studiosi che hanno, finalmente, spostato l’attenzione dei loro studi su quella parte del mondo che ha subito (e subisce) la dominazione dell’Occidente.

Ancora recentemente denunciava la ripresa delle politiche neo-coloniali nel mondo e in particolare nell’Africa, di cui era studioso attentissimo.

Possiamo auspicare che tutti i suoi scritti siano ripubblicati o raccolti e pubblicati affinché possano essere strumento per capire e leggere il presente e apprendere da lui il metodo rigoroso dell’analisi e della critica storica.

Qui di seguito un “ricordo” di Tommaso Di Francesco e Raffaele K. Salinari apparso su il manifesto, un ricordo di Salvatore Bonadonna, suo amico, e una bibliografia essenziale.

Una bibliografia provvisoria:

  • Neutralismo e guerra fredda. Milano. Edizioni di Comunità, 1963.
  • L’Africa nera non è indipendente. Milano. Edizioni di Comunità, 1964.
  • La rivoluzione algerina. Milano. Dall’Oglio, 1969.
  • Decolonizzazione e Terzo Mondo. Roma-Bari. Laterza, 1979
  • L’Africa. Milano. Editori Riuniti, 1987.
  • Dalla parte dei leoni. Milano. Il Saggiatore, 1995.
  • Africa: la storia ritrovata. Roma. Carocci, 2005.
  • L’Africa d’Italia. Roma. Carocci, 2011.

marco sansoè

 

Lo sguardo aperto su un mondo in tumulto

Storico collaboratore del manifesto, il «leone» Gian Paolo Calchi Novati ci ha lasciati. Ma restano sulle nostre scrivanie i suoi studi illuminanti su quello che un tempo veniva definito Terzo Mondo. In particolare sull’Africa, dall’analisi delle sue «rivoluzioni» alla denuncia dei processi neo-coloniali oggi in atto

Tommaso Di Francesco e Raffaele K. Salinari

Gian Paolo Calchi Novati ci ha lasciati. Un’intera generazione gli è debitrice dello sguardo aperto sul mondo in tumulto, sull’Africa in particolare.

Nei lontani anni Sessanta del secolo scorso l’internazionalismo, vista la Guerra Fredda, appassionava ancora, entrando nella quotidianità del dibattito politico corrente. Alla grande epopea delle lotte per l’indipendenza del continente africano ed asiatico, alla loro liberazione dal giogo coloniale, corrispondeva la nascita ed il consolidamento delle grandi organizzazioni di massa che avrebbero poi sostenuto attivamente la sinistra continentale.

Al tempo stesso il processo decoloniale procedeva in parallelo a quello di un’idea di unità dell’Europa, che allora era ancora l’insieme delle potenze colonialiste per eccellenza, proprio le più colpite dalle nuove dinamiche terzomondiali.

E dunque ciò che succedeva in Madagascar o in Nigeria, in Giordania o in Vietnam, rimetteva in discussione non solo i destini di intere popolazioni dall’altra parte del Mediterraneo sino al Capo di Buona Speranza, dal Medio Oriente all’Indocina, ma la visione stessa del mondo che una sinistra impegnata a governare e dirigere il cambiamento doveva assumere. Basti pensare all’impatto della guerra civile algerina sul clima politico francese col crollo della IV Repubblica, il ritorno di De Gaulle al potere e l’avvento della V Repubblica, caratterizzata da una nuova Costituzione che conferiva poteri molto estesi al Presidente.

Sembrano lontani i tempi in cui i giornali riportavano in prima pagina le cronache della prima indipendenza del Ghana con i proclami panafricanisti di Kwame Nkrumah, la guerra civile in Congo, con il tentativo, soffocato nel sangue, del giovane leader Lumumba di coinvolgere le Nazioni Unite e la conseguente morte del suo Segretario Generale, Dag Hammarskjöld, o la nazionalizzazione del Canale di Suez da parte del panarabista Nasser riempiva i dibattiti di quanti vedevano nelle rivoluzioni africane un modello per le lotte del continente europeo.

Di tutto questo fin dagli anni Cinquanta, cioè dal periodo immediatamente successivo la fine della Guerra, con passione e convinzione, capacità divulgativa e autorevolezza storica, Giampaolo Calchi Novati si occupava da storico e da militante di sinistra, anzi, meglio, da storico in quanto militante di sinistra. Più che si occupava, diremmo che illuminava. Sulle nostre scrivanie, quasi come livre de chevet, il suo Le rivoluzioni nell’Africa nera (ed. dall’Oglio) del’67, l’anno in cui Gian Paolo affermava icasticamente nell’introduzione: «La liberazione dell’Africa nera è quasi completata. Il “potere” è una realtà per la maggioranza dei suoi paesi. L’incidenza sul significato dell’indipendenza africana nella residua sfera coloniale… si pone oramai in una prospettiva diversa, di scadenze e non di merito».

In merito alle «prospettive», è bene dirlo, Calchi Novati si riferiva, anticipando i tempi con la sua capacità visionaria, a quei processi di decolonizzazione che poi sarebbero avvenuti nelle ex colonie portoghesi dopo la Rivoluzione dei garofani del ’74, sino alla conquista del potere da parte dell’Anc di Nelson Mandela nel Sudafrica razzista dell’apartheid.

Scorrendo le pagine di quel libro «saggio popolare», che costava poche centinaia di lire, si ritrovava tutta la storia coloniale, e non solo, del Continente, riassunta magistralmente, passo dopo passo, a partire da una analisi marxista, ma non ideologica, dei rapporti di forza internazionali, in cui il fenomeno coloniale diviene una delle forme maggiori per l’accumulazione primitiva del Capitale.

Nella biografia di Calchi Novati, classe 1935, nato a Vimercate di Milano e laureato in Giurisprudenza, indimenticabile e appassionato docente universitario a Pisa, Urbino e Pavia, animatore dell’Ispi, fondatore dell’Ipalmo, si possono apprezzare alcuni dei titoli che costellano la sua opera di studioso indipendente: si va da temi quali Neutralismo e guerra freddaStato e coscienza nazionale nell’Africa occidentale britannica, ad altri legati all’analisi socio politica, Stato, popolo, nazione nelle culture extraeuropee. Fino al personalissimo, inusitato e quasi sentimentale, Dalla parte dei leoni.

Basterebbe solo questa breve teoria dei titoli, che negli anni si sono allungati sino a configurare una bibliografia impressionante e densissima, ad illustrare la vastità degli interessi sia storici sia divulgativi in cui si muoveva Gian Paolo, sempre attento a partire da una analisi complessiva delle relazioni internazionali per poi arrivare, con dovizia di particolari e di documentazione circostanziata, a illuminare una realtà nazionale, ma sempre alla luce di questioni generali che mai diventavano generiche.

Ma forse il merito maggiore di Gian Paolo Calchi Novati risiede nella sua coerenza di intellettuale. Questa capacità critica e documentale, infatti, di tracciare un affresco della condizione terzomondiale, non solo dell’Africa ma, più in generale di quello che una volta veniva definito Terzo Mondo, non è venuta meno neanche quando, in particolare dopo la fine della Guerra Fredda e delle nuove fasi del capitalismo internazionale, la luce mediatica, ed anche analitica, su vasti segmenti di mondo si sono spente, relegando interi continenti ad un ruolo nuovamente marginale e subalterno.

E su questo, sulla progressiva nascita dei processi di vera e propria ricolonizzazione, Calchi Novati ha sempre richiamato l’attenzione delle sinistre, per molti anni distratte da ciò che avveniva in Africa dai successi rivoluzionari latino americani, poi via via avviluppate dalla crisi identitaria dell’involuzione del processo di costruzione europeo. Sin dagli anni Novanta, infatti, ad ancor più dopo l’inizio del nuovo millennio, Calchi Novati ha sempre mantenuto il suo punto analitico: attenzione, diceva, ciò che sta succedendo nelle periferie del mondo, in particolare in Africa, il continente in cui la biopolitica sembra sperimentare i suoi dispositivi più avanzati di dominio e spoliazione delle risorse naturali, desertificazione dei processi democratici e partecipativi, arriverà ben presto anche nel mondo cosiddetto sviluppato; e così è stato.

Ma, forse, la parte meno conosciuta ma altrettanto interessante, dell’attività di Calchi Novati, è il suo corpo a corpo teorico costante con i settori più avanzati della critica al colonialismo come fatto culturale. Parliamo qui dalla relazione col pensiero del Frantz Fanon di Pelle nera e maschere bianche o dei Dannati della terra, al tempo introdotto da Sartre, o la sua personale visione delle implicazioni esistenziali descritte ne Lo Straniero di Albert Camus – con rammarico non abbiamo fatto in tempo a chiedergli che cosa pensasse de Il Caso Mersault, lo straordinario romanzo dello scrittore algerino Kamel Daoud che rovescia, secondo la sensibilità dell’oppresso, l’impianto del capolavoro di Camus. Lo storico appena scomparso si è spinto molto a fondo anche nell’antropologia e nell’etno-psichiatria, fino ad intervenire con idee originali sulle attualissime tematiche sollevate dai cosiddetti studi sulle culture subalterne.

Negli ultimi tempi, poi, la sua tensione di studioso e di commentatore politico era volta all’analisi della nuova fase aperta nel continente africano dall’emergenza dei radicalismi religiosi con le loro implicazioni militari e le reiterate guerre occidentali in teatri come il Niger o il Mali. Qui la voce di Calchi Novati si alzava perentoria sia a condannare in modo circostanziato le avventure neocoloniali di alcuni Paesi europei, e l’assenza dell’Europa come tale nel teatro mediorientale, sia per tornare incessantemente alle radici storiche di quei conflitti solo apparentemente regionali, indicando proprio nel neocolonialismo la debolezza degli stati del Sahel nei confronti dello jihadismo.

Ed infine, com’è giusto che sia, una notazione di chiusura sul suo rapporto con queste pagine. Il manifesto è rimasta una delle poche testate a chiedere a Gian Paolo Calchi Novati di fornire la sua visione sugli avvenimenti dell’attualità, processi di migrazione inclusi, ma sempre nell’ambito di una visione più ampia. La relazione di amicizia storica che Gian Paolo intratteneva personalmente con molti di noi e con i collaboratori, è sempre stata per lui una spinta a continuare l’analisi e la divulgazione, illuminando, per gli ultimi della terra, momentaneamente dalla parte del torto. Addio al leone Gian Paolo.

il manifesto, 3/1/2017

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In memoria di Gian Paolo Calchi Novati

Salvatore Bonadonna*

Gian Paolo Calchi Novati ci ha lasciato la mattina del 2 Gennaio. Oggi, come da lui voluto, i funerali a Vimercate, il suo paese natale, in forma privata. Una scelta di stile coerente con la sua natura di studioso e di militante. Le sue analisi su quello che si chiamava Terzo Mondo, acute, puntuali, documentate e sempre connesse alla evoluzione dei rapporti di potere nel mondo sono state il riferimento per le generazioni che si sono affacciate alla politica della sinistra negli anni ’60. La loro forza intrinseca alimentava una coscienza diffusa all’internazionalismo e una consapevole scelta di campo a favore dell’indipendenza dei popoli. Giovani militanti seguivamo i suoi articoli su L’Astrolabio, fondato da Ferruccio Parri, e imparavamo dalla lettura del suo Le rivoluzioni dell’Africa nera a comprendere quanto maturava nello spirito e nelle lotte contro il colonialismo. I suoi scritti ci aiutavano a capire meglio Franz Fanon e i suoi Dannati della Terra ma anche il travaglio complicato delle sinistre nei paesi coloniali, dalla Francia al Portogallo, dal Belgio all’Olanda e all’Inghilterra mentre il mondo era diviso in campi contrapposti.

La sua rigorosa e appassionata attività di docente universitario si è accompagnata ad una militanza attiva che, oltre alla collaborazione all’Ispi, lo portò alla fondazione dell’Ipalmo che fu una fucina di studiosi e di operatori internazionalisti alimentando un’attenzione inedita al Medio Oriente, alle sue culture, ai suoi valori, ma anche ai rischi cui era esposto in ragione dell’incapacità del mondo occidentale di uscire dal proprio centralismo autoreferenziale. I suoi scritti, nel corso degli anni e fino ai più recenti, alcuni dei quali abbiamo ospitato su Alternative per il Socialismo, illustrano, analizzano, denunciano. Accompagnano le rivoluzioni anticoloniali, i tentativi delle classi dirigenti laiche e colte nel costruire l’indipendenza dei loro paesi, dall’Algeria al Kenya, dall’Egitto nasseriano alla Etiopia che travolge Hailè Selassiè con un regime che si pensava socialista e si rivelò ferocemente cambogiano, fino alla vittoria di Mandela contro l’apartheid e la conquista del potere in Sud Africa. E con la stessa passione di studioso e militante, di intellettuale, analizza come il colonialismo sconfitto riorganizza i suoi poteri e le sue strategie per non perdere il controllo delle risorse naturali di quei paesi e costruire forme di neo-colonialismo in una dimensione nuova dell’imperialismo del secolo passato. Segnala e denuncia come la liquidazione delle classi dirigenti dell’indipendenza sia avvenuta con la regia dei paesi ex coloniali e la compromissione delle nuove classi dirigenti. E in tempi non sospetti segnala che questi processi neocoloniali, potevano essere forieri di rivolte capaci di sfuggire al controllo di quegli stessi apprendisti stregoni che di volta in volta hanno evocato gli spiriti maligni per giocarli su uno scacchiere internazionale che, chiusa la fase della Guerra Fredda con il crollo dell’URSS, hanno pensato di regolare le loro partite di potere alimentando rivolte e guerre locali per procura. Aveva studiato a fondo Gian Paolo e conosceva l’Islam e l’antropologia di popoli progressivamente deprivati d’identità oltre che di risorse. Per questo denunciava l’assenza dell’Europa, le responsabilità dei paesi neocoloniali nello sviluppo dello Jihaidismo. Il quadro mondiale che abbiamo sotto i nostri occhi, il terrorismo e le migrazioni di massa, le guerre e lo sfruttamento degli uomini e delle risorse, dovrebbe richiamare le forze della sinistra e del progresso a riflettere sull’insegnamento teorico di Gian Paolo Calchi Novati.
Abbiamo avuto modo di parlare di questi argomenti anche in questo periodo nel quale il suo male si era manifestato, per la fortunata circostanza di abitare da dieci anni nello stesso palazzo. Anche per questo la sua scomparsa rappresenta per me la perdita di un amico oltre che di un maestro.

* comitato politico nazionale PRC-SE

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