Non lontano da qui è in corso una “guerra di liberazione” che pare voler costruire una realtà politico territoriale nuova e diversa.
E’ notizia di pochi giorni fa quella della liberazione della città siriana di Manbij: un esercito popolare di kurdi, arabi, assiri e turkmeni ha cacciato le milizie dell’autoproclamato “stato islamico”. Ma qui, a differenza di ciò che sta succedendo ad Aleppo e in altre città siriane, non ci sono contrasti tra i “liberatori”, non ci sono bande con appetiti egemonici o interessi di parte da salvaguardare o fazioni appoggiate da quella o questa potenza, non ci sono contrasti tra lealisti e “ribelli”.
Qui sono tutti ribelli al servizio di nessuno o meglio al servizio della popolazione di quella città che si è autorganizzata in una comunità plurale dove le diverse culture e religioni convivono nel rispetto reciproco. Non è un’illusione ma è la realizzazione di una utopia concreta che si sta consolidando.
Qui i ribelli sono la popolazione in armi che ha scelto di liberarsi.
In buona parte della Siria “i ribelli” in armi sono la trasformazione del legittimo scontro politico contro il governo di Hassad in scontro armato e guerra civile voluta, finanziata e manovrata dalle potenze occidentali, in particolare Usa e Francia. Inoltre l’ingresso della Russia e della Turchia nello scontro, insieme e contro le potenze arabe del golfo e il governo Hassad, hanno reso questa guerra un grande buco nero nel quale gli interessi strategici e economici occidentali e locali sono tali da impedire qualsiasi soluzione politica e rendere impossibili anche gli accordi di soccorso per la popolazione. Qui, ora, la popolazione è vittima innocente di massacri e bombardamenti indiscriminati con la complicità delle comunità occidentali e arabe che non fanno nulla per giungere ad un accordo, almeno per far giungere i primi indispensabili aiuti umanitari.
Qui si sta consumando la strage di milioni di persone sotto gli occhi indifferenti (o interessati) della comunità internazionale.
A Manbij e in altre città del nord, in Siria e in Iraq, non è così. Lì si è avviato un percorso politico di liberazione che vede interpreti le popolazioni autorganizzate, che fanno delle zone liberate terre di comunità nelle quali convivono le diversità politiche, culturali e religiose. Forse ci stanno dicendo che “un altro mondo è possibile”!
marco sansoè