Intervista a Fausto Bertinotti di Angela Mauro
“Quella del ministro Poletti è una provocazione, anche rozza, certo. Uno potrebbe fare spallucce e passare avanti. E invece va presa sul serio perché è la manifestazione pubblica di un veleno che il corpo del sistema economico mette in circolo. L’obiettivo del veleno è semplice: la fine del principio di uguaglianza nel lavoro. Quello secondo cui a parità di lavoro, c’è parità di salario: è questo che viene aggredito nelle fondamenta. E diventa tutto discrezionale. L’opera chi la quantifica? Chi decide? L’ impresa e il mercato. Non il lavoratore, non più”.
Un’amarissima riflessione da parte dell’ex presidente della Camera, ex segretario di Rifondazione Comunista, nonché massimo esperto di diritti e lotte per i diritti.
Con le ultime dichiarazioni di Poletti, si può definitamene archiviare Marx e la sua teoria su Valore e Tempo?
Primo: Marx andrebbe lasciato stare. E’ un pensatore critico da maneggiare con cura. Sulla teoria del valore, la teoria economica si è impegnata per oltre 50 anni, da Keynes fino a pensatori italiani come Claudio Napoleoni. Marx è un terreno scottante. Vanno evitati dilettantismi e grossolanità. Quando parla del valore, Marx parla del lavoro astratto che non è astratto in quanto non esistente ma in quanto trasformato e messo al lavoro dall’accumulazione capitalistica. Per qualche nozione il ministro del lavoro farebbe bene a leggere Lucio Colletti. Bisogna distinguere tra le categorie di lavoro astratto e lavoro concreto: solo la prima ha a che fare con la teoria del valore.
Lasciamo stare Marx. Il ministro ha reso queste dichiarazioni, che stanno scatenando le proteste della Cgil e della Uil, ad un convegno alla Luiss dal titolo ‘Dalla scala mobile al jobs act’. E’ il compimento di un ciclo.
Vivo Gallino, potrebbe essere definito ‘Cronache di un rovesciamento del conflitto di classe’. Cioè del fatto che dopo gli anni ’80, dalla scala mobile al jobs act, si è prodotta la grande controriforma del lavoro con l’avvento di un nuovo capitalismo, una crisi della civiltà del lavoro, il progressivo annullamento dell’autonomia e della soggettività del lavoro salariato, da intendersi nelle diverse specie, dall’economia cognitiva fino alle forme di schiavismo imperante in un ventaglio enormemente diversificato. Il tratto comune è la perdita progressiva di potere contrattuale del lavoratore nei confronti dell’impresa e del mercato: c’è stato un grande cammino all’indietro fino a perdere quello che era stato conquistato. E in questo rovesciamento c’è stato il rovesciamento delle parole.
Cioè?
Poletti usa il termine libertà. Dice: saremo più liberi. Lo inviterei alla cautela. Anche perché qualche riferimento storico fa pensare ad un accostamento tra lavoro e libertà non proprio esaltante…
Addirittura Auschwitz?
Solo un riferimento storico. Ma andiamo avanti. Vorrei ricordare che si è finiti nella precarizzazione del lavoro dicendo che si voleva invece aprire un capitolo in cui, grazie a nuove tecnologie e a un lavoro più fluido, i lavoratori avrebbero potuto trovare le risposte alle proprie esigenze e avere possibilità di scelta. E’ finita in precarietà e i lavoratori sono stati azzerati nel soddisfacimento dei loro bisogni, sono diventati pezzi di ingranaggio. Persino la nuovissima frontiera della libertà che ci arriva dagli Usa, quella di scegliere quando e quante ferie fare, magari alla fine di un programma di lavoro, porta gli studiosi a mettersi le mani nei capelli: si è di fronte ad un accrescimento dello stress da prestazione… I termini di libertà e flessibilità mettono paura nelle mani di chi li usa così, non dico Poletti ma parlo del meccanismo complessivo.
Però qui parliamo di Poletti, ministro del governo Renzi, ex presidente della Lega delle Cooperative.
Il ministro del Lavoro dovrebbe sapere che c’è stato un tempo in cui invece dell’ora, era l’opera a misurare la prestazione. Si chiama ‘cottimo a botta’, cioè tanti pezzi fai, tanto sei pagato. Questa grande scoperta è di fine ‘800, inizi del ‘900, cioè la nascita dell’industria. Io non so davvero che luoghi abbia frequentato il ministro del Lavoro nei decenni dell’ascesa del conflitto operaio e del sindacato negli anni ’70. In tutto quel lungo periodo, la retribuzione oraria non è mai stata legata alle ore di lavoro ma alle caratteristiche delle prestazioni lavorative. E poi esiste la qualifica o la mansione: sei retribuito in rapporto alla qualità della prestazione prevista e anche della quantità. Si chiama produttività o meglio: premio di produttività.
Dunque a cosa puntano le parole di Poletti?
Con la desertificazione dell’orario si ha una perdita di controllo totale del lavoratore sul proprio lavoro. Il movimento operario, in tutta la sua fase di conquiste rispetto al tempo, ha sempre cercato di sottrarre alla pervasività del tempo di lavoro per restituire al tempo di vita, onorando il sacro, domenica e festivi. Quando questo argine viene demolito non è che sei tu sei libero ma tu invece diventi totalmente dipendente dalle richieste dell’impresa e del mercato: sei immerso nel lavoro quando vogliono loro, sei fuori quando vogliono loro. Questo meccanismo che chiamiamo capitalismo finanziario chiede che si vada fino in fondo nella cancellazione dell’autonomia del lavoratore, non tanto sindacale ma la sua possibilità di far valere la sua scelta individualmente e collettivamente che poi diventano i diritti, che hanno a che fare con la dignità della persona.
Esistono degli anticorpi?
Sì. C’è quello che si chiama ‘residuo’. Vale a dire ciò che resta fuori dall’assunzione del lavoratore nel meccanismo di accumulazione. Il meccanismo totalitario tenta di mettere dentro tutto ma l’uomo comunque disperso emette un residuo. Che va organizzato, certo. Ma prima o poi prende forza. Quella del ministro Poletti è una provocazione, anche rozza, certo. Uno potrebbe fare spallucce e passare avanti. E invece va presa sul serio perché è la manifestazione pubblica di un veleno che il corpo del sistema economico mette in circolo. Richiederebbe almeno che le soggettività degli anticorpi si manifestassero sul terreno culturale. Obiettivo del veleno è semplice: la fine del principio di uguaglianza nel lavoro. Quello secondo cui a parità di lavoro, c’è parità di salario: è questo che viene aggredito nelle fondamenta. E diventa tutto discrezionale. L’opera chi la quantifica? Chi decide? L’ impresa e il mercato. Non il lavoratore, non più.
Huffington Post, 29/11/15