Pubblichiamo una riflessione di Giulio Marcon e Andrea Segre dopo la marcia delle donne e uomini scalzi dell’11 settembre a Venezia e in altre città, apparsa su il manifesto del 20/9/2015.
Lo scorso 11 settembre più di 250mila persone hanno manifestato a piedi scalzi in 71 città italiane chiedendo diritti e accoglienza per i migranti e profughi, senza sé e senza ma. E’ stata prova di partecipazione e di mobilitazione straordinaria che ci consegna la domanda di come far vivere nei prossimi mesi un’azione di denuncia politica e di solidarietà concreta con i migranti.
«La marcia delle donne e degli uomini scalzi non si fermerà. Continuerà anche dopo l’11 settembre».
Questo è stato detto nell’appello finale letto alla conclusione della manifestazione a Venezia: «E’ una marcia per la dignità, per la vita, per la libertà: per tutti quei valori per cui abbiamo voluto costruire un’Europa aperta al mondo e fondata sulla pace. Una speranza che vogliamo continuare a difendere e per cui vogliamo lottare».
I motivi ci sono tutti. Infatti, dopo qualche sussulto europeo, tra Berlino e Bruxelles, sull’onda dell’emozione della fuga dei profughi siriani, la Merkel ha annunciato che ora le frontiere si chiudono, i paesi dell’est europeo hanno ribadito che non accetteranno nessuna quota per l’accoglienza dei migranti, l’Ungheria finisce di costruire il muro, spara lacrimogeni e usa cannoni d’acqua contro i migranti, e la Francia minaccia nuovi raid aerei in Siria.
Invece sono altre le strade che andrebbero seguite per cercare di affrontare un flusso di profughi — che ormai avrà caratteristiche di permanenza — verso l’Europa. Sempre nell’appello conclusivo è stato affermato: «Molte sono le cose da fare e molti i rischi all’orizzonte. Bisogna creare un vero e proprio corridoio umanitario per chi scappa dalla guerra e bisogna istituire un diritto di asilo europeo che superi l’anacronistico regolamento di Dublino».
E proprio nella manifestazione conclusiva di Venezia, una delegazione della manifestazione di migranti e richiedenti asilo sono simbolicamente saliti sul red carpet della Mostra del cinema aprendo uno striscione davanti a fotografi e pubblico in attesa delle star: humanitarian corridors, now. E’ questa la priorità oggi. Questo il punto che non può essere più eluso. Non si tratta solo di accogliere chi — dopo interminabili sofferenze — arriva ai confini della nostra Europa, ma farsi carico anche chi non può, non riesce a fuggire e rischia la morte e la violazione dei diritti umani nelle zone di guerra. E alle nostre frontiere non arriverà mai.
Oggi i corridoi umanitari sono ineludibili. Ne servono almeno due: uno dalla Siria e l’altro dal Mediterraneo, assicurando in questo caso passaggi in mare sicuri. Ma su questa strada l’Europa e l’Italia per il momento non ci sentono e si barcamenano tra quote per la ripartizione dei profughi — quote molto modeste e non accettate — nuovi hot spot da istituire e che rischiano di produrre non maggiori tutele ma altre discriminazioni e nessuna resipiscenza sulla convenzione di Dublino.
Al governo Renzi dobbiamo chiedere di prendere una iniziativa che vada in questa direzione non solo in Europa, ma anche in Italia: chiudendo i centri di detenzione, introducendo il diritto di voto alle amministrative per i migranti, istituendo unilateralmente un corridoio umanitario dalle coste meridionali del Mediterraneo. Si tratta, dunque, di rilanciare una mobilitazione.
La marcia delle donne e degli uomini scalzi — con tutto il suo carico simbolico e di concretezza nella forma della partecipazione — ha dimostrato che c’è una grande disponibilità, che non va dispersa, ma rafforzata e sviluppata. Una grande alleanza delle donne e degli uomini scalzi che faccia argine alla xenofobia e al razzismo e che sia da ariete contro tutti quei fili spinati e muri che si cercano di alzare in Europa ancora una volta.
C’è un primo appuntamento: domani, 21 settembre manifesteremo alle 18 davanti all’ambasciata d’Ungheria a Roma (via dei Villini 12) e davanti ai consolati ungheresi in Italia (come a Milano, Venezia, Palermo, Trieste e altre città che si stanno aggiungendo) per dire basta ai muri e ai fili spinati, basta alla criminalizzazione dei profughi, basta all ipocrisie europee (per info:http://donneuominiscalzi.blogspot.it). Se c’è qualcuno che deve andare fuori dall’Europa non sono i migranti, ma Viktor Orban.
Giulio Marcon e Andrea Segre
il manifesto, 20/9/2015