Profughi e rifugiati :: E’ l’ora dell’autocritica!

razzismo-italianoSiamo convinti che solo muovendo dalla conoscenza consapevole delle cause storiche, anche attuali, delle migrazioni sia possibile avviare un percorso stabile di accoglienza e integrazione. Dobbiamo avere il coraggio di avviare una pratica autocritica che ci porti a scoprire e a capire le nostre responsabilità: solo la personale consapevolezza ci può aiutare a costruire una società in cui l’accoglienza e l’integrazione tra culture non siano un dovere morale ma la condizione sociale per vivere questa contemporaneità.

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marco sasnoè 

Profughi e rifugiati: l’autocritica che non c’è

di Lelio Demichelis

La foto – drammatica, agghiacciante – del bambino siriano morto e spiaggiato in Turchia (Senza asilo, ha splendidamente titolato il manifesto) forse scuoterà le nostre coscienze. Perché quella morte è colpa nostra, dell’Europa e del suo (nostro) cinismo. «Gran parte dei rifugiati che stanno arrivando in Europa in questi mesi fuggono situazioni di guerra di cui noi, i paesi occidentali, siamo direttamente o indirettamente responsabili. Siamo intervenuti militarmente in Afghanistan, Iraq, Libia, Repubblica Centroafricana, Mali e abbiamo incoraggiato la guerra civile in Siria. La democrazia e i diritti dell’uomo sono stati usati per giustificare tali interventi militari, che però non hanno mantenuto le loro promesse. La democrazia, infatti, non si esporta a colpi di missili e di droni. Il risultato di tali scelte militari sono davanti ai nostri occhi: insicurezza sempre più diffusa, inasprimento dei conflitti etnici e religiosi, guerre civili e ora questo flusso di rifugiati che cerca di raggiungere un’oasi di pace e di prosperità».

Parole del filosofo bulgaro-francese e illuminista di oggi, Tzvetan Todorov (la Repubblica, del 31 agosto). Da meditare – che quindi raccogliamo e proviamo a sviluppare in direzioni un poco diverse ma conseguenti al pensiero di Todorov. Partendo anche noi da una verità che sembrerebbe di buon senso, ma che per alcuni non lo è. E dunque: invece di alzare muri reali o virtuali o qualunquistici e razzisti (tipo: ‘gli stranieri a casa loro’; oppure; ‘prima noi, poi gli altri’); invece di fare i cinici capitalisti come gli inglesi (‘immigrati sì, ma solo se hanno un lavoro’) o i falsi buonisti come i tedeschi (‘sì ai profughi siriani, gli altri no’); invece di combattere l’Isis solo con le armi (in realtà, senza troppa convinzione e soprattutto senza domandarci da cosa nasce l’Isis e perché e perché è così potente), ciò che davvero serve è una forte e collettiva azione di autocritica. Dell’Occidente tutto, di coloro che hanno voluto la guerra in Libia, che hanno aperto le casseforti ai dittatori del Medio Oriente, che pensano che tutto sia cominciato con l’11 settembre, quelli che hanno accettato in silenzio ciò che l’Occidente ha fatto (e soprattutto disfatto, lacerato) volgendo lo sguardo dall’altra parte.

Autocritica: la capacità di criticare anche se stessi, provando a fare un bilancio di ciò che si è fatto, riflettendo sulla sua giustezza (il concetto di giustizia etica, morale e poi anche politica). Non l’autocritica amministrativa degli stoici. Non quella imposta e indotta dai regimi comunisti del passato e di oggi (come il giornalista cinese Wang Xiaolu che si è autoaccusato di avere diffuso notizie non vere che hanno provocato il caos finanziario di metà agosto). Non la confessione cristiana che si chiude con una assoluzione eteroprodotta, non il subordinarsi a un direttore di coscienza esterno: ma una autocritica in autonomia (solo chi è soggetto autonomo è capace di fare autocritica, l’autocritica a sua volta permette di rafforzare l’autonomia). Una autocritica dove la riflessione su di sé sia un relazionarsi con quel proprio direttore spirituale che è se stessi (autos e nomos) e la propria coscienza. Autocritica, dove le eventuali colpe siano riconosciute e come tali siano mezzo per non ricadere nell’errore.

Autocritica: una parola e una pratica ormai del tutto sconosciuta all’Occidente, se non per minoranze intellettuali e per tempi di attivazione molto brevi. Credendosi superiore a tutti gli altri (è l’auto-referenzialità arrogante e cinica degli Usa e dell’Europa), l’Occidente afferma di agire in nome dei diritti umani e contro gli integralismi religiosi degli altri, in verità fa il contrario ed evangelizza il mondo intero con la propria ‘religione’ capitalista, anch’essa integralista; e si dimentica (ci dimentichiamo) troppo facilmente di essere stati colonialisti, intolleranti, violenti verso ogni popolo diverso da noi; e rimuove (rimuoviamo) dalla memoria ogni nostra collusione/correità del passato con dittature e integralismi di ogni genere e di ogni colore. L’Occidente è appunto incapace di autocritica. Sempre proiettato compulsivamente in avanti (la sua irrefrenabile volontà di potenza) oggi in modalità disordinatamente multitasking, l’Occidente vive un presente fatto di istanti che si rincorrono altrettanto disordinatamente, senza capire che in questo modo sta accumulando errori su errori, fallimenti su fallimenti. Perdendo il senso della realtà, del divenire.

Tautologicamente, continuiamo a ripetere le stesse politiche di sempre chiamandole con nomi diversi (globalizzazione invece di colonialismo, democrazia da esportare invece di conquista militare), contro nemici sempre nuovi, perché siamo incapaci di far nascere una auto-coscienza collettiva capace di esercitare responsabilità: verso gli altri e verso il futuro, cosa che invece sarebbe necessaria (capire il passato) e salutare (modificare le politiche in atto, data la loro evidente e incontestabile follia), ma soprattutto urgente per fare pace con gli uomini ‘diversi da noi’. Uomini che (come ricordava Todorov) fuggono dalle guerre che noi Occidente abbiamo portato in casa loro, ma che ora cercano rifugio da noi. Uomini e donne e bambini che abbiamo il dovere (la responsabilità) di accogliere, non solo per una questione di etica cristiana (per chi crede: aprire la porta a chi bussa) ma di giustizia (ancora); per poter continuare a dirci ‘uomini’ e non ‘animali’ che difendono con tutti i mezzi il loro territorio; per recuperare quei valori illuministici che abbiamo dimenticato – i diritti dell’uomo (per davvero), la libertà (anche degli altri), l’uguaglianza (degli altri con noi) e la fraternità (verso gli altri) – e perché (e soprattutto) sarebbe finalmente un buon modo per sanare le nostre ‘colpe’ e provare a cambiare il corso degli avvenimenti.

E invece, il vertice europeo del prossimo 14 settembre rischia di essere una pura gestione dell’emergenza. Senza una visione politica diversa. La speranza è che le retoriche degli ultimi giorni sulla solidarietà tra paesi europei e sulla umanità da praticare (il rimorso prodotto dall’immagine del bambino siriano) davvero produca una cambio di paradigma. Le premesse – un’Europa che si è fatta le ossa contro la Grecia imponendo ad Atene di espiare le sue ‘colpe’, nascondendo invece le proprie (di Bruxelles e di Berlino) – non sono incoraggianti.

Ancora: l’incapacità di autocritica.

Alfa+più, 13/9/2015

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