Giornata mondiale del Rifugiato :: una riflessione…

migranti naufraghi 2La Giornata mondiale del Rifugiato non è una commemorazione o una ricorrenza simbolica ma l’occasione per riflettere e agire su una condizione umana divenuta permanente nella società globalizzata.

Ci apprestiamo a farlo con la consapevolezza che la fuga dalla propria difficile condizione economica, sociale, politica e umana non è un flagello divino ma la conseguenza di scelte che le classi dirigenti degli stati nazionali della terra hanno compiuto e stanno compiendo.

Chi oggi parla di “emergenza” sceglie di negare la responsabilità dell’Europa e del mondo occidentale in tutto questo, nega e nasconde i fatti per non dovere compiere scelte che metterebbero in discussione le posizioni di privilegio raggiunte.

Si parla di “emergenza”…, come si sarebbe dovuto chiamare il fenomeno dell’emigrazione italiana a partire dall’Unità? Tra il 1860 e 1880 se ne andarono dall’Italia in media in 100.000 ogni anno, nel decennio 1901-10 (proprio mentre iniziava l’avventura imperialista dell’Italia) superava i 600.000 all’anno, per toccare il record di 872.598 nel 1913. Ma “l’emergenza” proseguì anche in tempi più recenti: tra 1951-56 fu di 99.000 all’anno, che salì nel 1957-64 a 113.000 e tra 1965-71 a 115.000 all’anno (in pieno miracolo economico!)

Quelle migrazioni per decenni favorirono un regime globale di bassi salari, procurando alti profitti alle imprese europee e di oltre oceano: il prezzo fu pagato dai migranti!

Ora qualche migliaio di disperati che sbarcano sulle nostre coste diventano una “emergenza” o una “invasione” solo per chi non sa e non vuole affrontare il problema.

L’Europa non vuole affrontarlo perché il sistema economico produce sempre meno e non ha bisogno dei migranti per fare profitti, questi si fanno con medi o alti tassi di disoccupazione e con il lavoro precario generalizzato. E si può restare saldi al potere del proprio stato facendo leva sulle paure, le ansie che attraversano una società che non cresce più e stenta a trovare una prospettiva futura.

Per questo non sappiamo trovare soluzioni: perché siamo incapaci di mettere in moto politiche economiche di lungo periodo con l’Africa e l’Asia, che partano dalla cancellazione dei debiti dei paesi più poveri; perché l’occidente non ha una politica internazionale se non quella militare: così l’Europa e gli Usa, deliberatamente, trasformiamo il conflitto politico in Siria in una guerra civile, e intervengono in Libia sfruttando le tensioni interne per esercitare, in prospettiva, il controllo sul gas, il petrolio e i fosfati…

Di fronte all’inconsistenza e alla prudenza delle politiche istituzionali nazionali e locali per l’accoglienza di profughi e migranti possiamo cogliere l’occasione per fare “comune” nel senso di mettere in comune condizioni, saperi, culture e esperienze. Oltre le disparità dare/ricevere, insegnare/imparare, ospite/rifugiato.

Possiamo agire come comunità autonome di accoglienza: capaci di procurare rifugi diffusi sul territorio, di vestire e sfamare, dare assistenza sanitaria e psicologica, fornire strumenti di difesa legale e di conoscenza della lingua italiana, favorire le relazioni umane, aiutarli ad uscire dall’Italia se lo richiedono…

Possiamo costruire comunità capaci di scegliere autonomamente la propria condizione plurale e egualitaria senza attendere il via libera delle istituzioni, senza dipendere da esse, nella legittimità del bene della persona…

Diventare una comunità che accoglie perché così realizza la sua forma, che si fa complessa perché così corrisponde alla contemporaneità, criticandola e producendo, oggi, un altro mondo possibile!

Venerdì19, anche a Biella saremo insieme a riflettere su queste cose e cominciare a trovare soluzioni.

Biella, 16/6/2015

Marco Sansoè

 

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