Un documento scritto da Daniele Albanese della Caritas Diocesana di Biella
In seguito alla riunione straordinaria del Consiglio Europeo sull’immigrazione riteniamo nostro compito far sentire la voce di chi non ha la possibilità di arrivare ai giornali ma che ogni giorno urla, soffre, piange e ci chiede conto delle scelte dello Stato in cui viviamo e di cui ci sentiamo responsabili. La miglior risposta al silenzio del mare che nasconde le verità di un’umanità schiacciata da anni di politiche neocoloniali è certamente quella di alzare la voce, di informare, di chiedere giustizia. La più grande strage del Mediterraneo ci spinge ad essere ancora di più al fianco di chi ce l’ha fatta, di chi è accolto nel nostro territorio, e vede l’ipocrisia nelle lacrime di chi piange i morti e non fa nulla per i vivi.
Sottoscriviamo l’appello di tante organizzazioni che chiedono 1) una politica europea nuova ed originale sulle migrazioni con la costituzione di una agenzia europea per le migrazioni; 2) l’attivazione urgente di un’azione europea per arrivare alla stabilizzazione della Libia, attraverso la formazione di un governo di unità nazionale; va ricordato infatti che qualora venisse inviata una forza di peace keeping essa potrebbe operare solo con il consenso di un governo locale nel rispetto del diritto internazionale; 3) di intercettare i flussi prima che arrivino i profughi, attraverso la costituzione di corridoi umanitari e uffici riconosciuti dall’ONU che diano visti umanitari in Egitto, Tunisia, Marocco, Algeria e, laddove è necessario, il conferimento dello status di rifugiato politico da parte dell’UE modificando l’accordo di Dublino.
Il dibattito in questi giorni si concentra su affermazioni gravissime e dichiarazioni di guerra con l’obiettivo di affondare, reprimere e respingere. Noi denunciamo qualsiasi volontà di attacco armato, perché anche se mirato e circoscritto, oltre a non essere efficace per risolvere il problema porterebbe al risultato di un’escalation di violenze e ritorsioni cui la storia purtroppo ci ha già abituato. Possibile che vent’anni di morti nel Mediterraneo non ci abbiamo insegnato nulla? Affondare le barche o arrestare gli scafisti non gioverebbe a nulla perché le mafie comprerebbero altre barche e troverebbero altri poveracci pronti a rischiare la vita per trasportare persone in cambio di effimeri guadagni. Sarebbe come svuotare il mare con un cucchiaino. Il traffico di esseri umani risponde alla logica della domanda di mobilità, la legge del profitto in un mercato che vale milioni di euro. L’Europa chiudendo ogni canale legale di ingresso ha di fatto aperto il mercato delle mafie che controllano i traffici con soprusi inenarrabili. E’ impossibile ottenere dei visti di ingresso sia di tipo umanitario per chi scappa dalle guerre come ad esempio i Siriani, i Somali, gli Eritrei, sia per chi fugge alla ricerca legittima di un futuro migliore. I viaggiatori denegati nelle ambasciate europee diventano i nuovi schiavi. Semplificare le regole sui visti, legalizzare la mobilità, aprire corridoi umanitari, ridurrebbe in poco tempo ignobili traffici illegali e garantirebbe alle persone non solo viaggi dignitosi ma anche possibilità di ingresso ed uscita a seconda della domanda di lavoro. Se non si trova lavoro si ha la possibilità di tornare al proprio Paese per poi ritornare per un secondo tentativo. Non ultimo, a chiedere asilo in Italia sarebbero solo i profughi di guerra e persecuzioni e non chiunque costretto all’unica strada possibile per una regolarizzazione. Inoltre se per taluni il problema è l’immigrazione occorre dire che fermare gli sbarchi non significa risolverlo perché l’immigrazione in Italia è soprattutto europea e l’impatto numerico degli sbarchi è trascurabile sul numero totale degli immigrati.
Se si fa la somma di tutti gli sbarchi degli ultimi vent’anni non si arriva alle 500.000 persone che sui 5 milioni di stranieri presenti in Italia sono certamente trascurabili, considerando poi che la metà di loro ha lasciato il nostro Paese verso altri Paesi europei.
La maggior parte delle persone è arrivata via aereo ottenendo un permesso di soggiorno grazie alle diverse sanatorie attuate negli anni da governi di destra, sinistra e leghisti.
Occuparsi dei vivi significa anche dare dignità alle persone che ospitiamo sul nostro territorio. Ci stiamo da oltre un anno prodigando insieme agli Enti gestori dell’accoglienza per la migliore integrazione possibile. Tanti volontari si son dati disponibili per incontrare le persone, insegnare l’italiano, accompagnare alla conoscenza del posto in cui si trovano ma che non hanno scelto. Con queste persone stiamo vivendo un momento decisamente critico. Secondo i dati del Ministero degli Interni nel 2013 il 29% dei richiedenti asilo ha avuto esito negativo dalla Commissione Territoriale e nel 2014 la percentuale si è alzata al 37%. In seguito alla decisione negativa è possibile fare ricorso e poi appello fino al terzo grado di giudizio. Non abbiamo ancora dati consolidati ma l’esperienza ci dice che solamente circa la metà dei denegati perde i ricorsi: ciò significa sui dati 2013 circa 3500 persone e nel 2014 circa 7000 persone in tutta Italia. Sul nostro territorio una quindicina si trova in questa situazione.
Dopo un anno di accoglienza, le energie impiegate, le strutture messe a disposizione e i soldi spesi dallo Stato troveremmo un’assurdità lasciare le persone senza un riconoscimento. Persone meritevoli che si sono distinte in maniera positiva in tutto questo periodo. Pertanto chiediamo alle Autorità il rilascio di un permesso di soggiorno per motivi umanitari che possa dar loro l’opportunità di provarci, di avere un’occasione, di tentare di arrivare al sogno che non è affondato sotto al Mediterraneo ma che potrebbe infrangersi dietro a leggi assurde.
Lo diciamo anche perché difficilmente i migranti irregolari vengono rimpatriati non avendo il passaporto del loro Stato andrebbero ad ingrossare le fila della clandestinità dovendosi affidare nuovamente a trafficanti di uomini e sfruttatori per riuscire a sopravvivere.
Riteniamo che il riconoscimento legale delle persone sia un diritto umano fondamentale tanto quanto la vita e la salute.
La terra è di Dio e nessun uomo o popolo può ritenersi padrone a casa “sua” di nulla perché ogni bene che abbiamo ci è dato per condividerlo in particolare con i nostri fratelli più deboli.
27/4/2105