Syriza non è una nuova sinistra, è una sinistra nuova. Non nasce per stare “un po’ più a sinistra” di altri, ma per dare voce a un popolo aggredito da politiche antipopolari. Ci ricorda la fine dell’Ottocento, quando il nascente movimento operaio inventa le società di mutuo soccorso, le leghe, le associazioni.
Qualche volta conviene cominciare dalla gratitudine, anche in politica. Del resto, per quelli di noi che sentono di appartenere al campo che ci ostiniamo a chiamare della “sinistra”, in tutti i paesi europei questo è il giorno della gratitudine nei confronti di Syriza che in Grecia vince una competizione elettorale decisiva: vince largamente ai massimi livelli possibili nelle urne perché ha vinto nel Paese. Una vittoria, ad intendersi, della politica. Una vittoria, ad intendersi, della sinistra. Ad intendersi, perché politica e sinistra da Syriza sono state rivoluzionate. Nessuno fuori dalla Grecia può dire «abbiamo vinto». Nessuno può dire «io sono Syriza».
Dunque, dopo la gratitudine e mentre cerchiamo di comprendere cosa ora può accadere in Europa, sarà bene capire cosa è Syriza. Molti di noi hanno provato negli anni scorsi, in diversi paesi europei, a costruire una nuova sinistra. Ognuno di questi tentativi, anche il più innovatore, si è iscritto nella storia del revisionismo di sinistra: prendeva cioè le mosse da uno spirito di scissione, interpretando il quale ci si separava da una sinistra moderata indirizzata a una vera e propria mutazione genetica, per farne nascere un’altra, un’altra sinistra, anche cercando e vivendo un nuovo rapporto con i movimenti. Storia finita.
In ogni caso, non è stata questa la storia di Syriza. Syriza non è una nuova sinistra, è una sinistra nuova. Non nasce per stare “un po’ più a sinistra” di altri, ma nasce per dare voce, interpretare e organizzare il non possumus di un popolo aggredito da politiche antipopolari. Perciò, mentre in altri paesi europei il populismo prende una piega di destra, o resta nell’ambiguità, in Grecia diventa la materia prima di una nuova cultura politica, di una nuova soggettività politica che, guadagnando l’orizzonte dell’uguaglianza e dei diritti della persona – a partire dalla lotta concreta contro l’impoverimento e la devastazione sociale – genera una cultura di sinistra differente e un’organizzazione politica popolare.
Se si guarda alle innumerevoli forme di mutualismo sociale realizzato in Grecia con le mense popolari, gli asili nido, le diverse forme di sanità solidale, si vedrà che Syriza si è insediata nel popolo e nei territori costruendo pezzo a pezzo, contro gli effetti delle politiche di austerity, una sorta di stato sociale autogestito. Se qualcosa di lontano ci ricorda, è certamente il tempo della fine dell’Ottocento, quando il nascente movimento operaio inventa le società di mutuo soccorso, le leghe, le associazioni. Syriza accompagna questo insediamento con una critica radicale alle politiche di austerità del governo greco e della Troika europea che la configurano come una formazione politica, è stato detto, di estrema sinistra. L’alternativa di governo viene proposta col programma di Salonicco.
Così, per la prima volta da quando si è venuta costituendo l’Europa reale, e diversamente da ciò che è accaduto in tutti gli altri paesi europei, in Grecia non si è votato soltanto per sapere chi deve andare al governo (come accade quando le politiche del governo sono predeterminate), ma il popolo greco è stato chiamato a votare sia per il governo che per le politiche del governo. Una prima riforma della politica è stata conquistata sul campo, restituendo alle elezioni il significato che in Europa si era andato perduto. Dopo lo straordinario successo elettorale, Syriza chiamata al compito esaltante e terribile di governare un paese come la Grecia in una realtà come questa Europa, mostra anche nella scelta dell’alleanza di governo quanto sia lontana la sua cultura da quella “alleanzista” delle sinistre storiche.
Intanto viene fatta vivere una prima discriminante. Mai con i partiti che hanno condiviso la responsabilità del governo nel ciclo precedente e nella fase dell’austerità. Tra i socialisti del Pasoc e i conservatori di Nuova Democrazia non viene fatta differenza alcuna, non conta la geografia politica, conta la pratica di governo. Il vecchio codice della scelta per vicinanza secondo geografia politica viene azzerato. Se uno tiene in mente le storie anche recenti delle sinistre europee, può ben cogliere la discontinuità e la rottura. La motivazione è tuttavia chiara e significativa.
Lo scontro si è venuto caratterizzando prioritariamente tra il basso e l’alto della società, tra il popolo e la classe dirigente. E’ a questo movimento del basso contro l’alto che può essere ben rivolto, dopo la vittoria elettorale, il “ben scavato, vecchia talpa”. Forte dell’investitura popolare, Syriza si rivolge ad una forza politica che non ha avuto responsabilità di governo e che ha cercato di guardare a quel moto di contestazione popolare.
E’ l’ascesa di Syriza che cambia anche le coordinate della politica. Certo ci sono nei suoi confronti attese pelose. Ma l’attenzione che Syriza ha guadagnato tra partiti politici europei tra loro opposti, da Renzi a Salvini a Grillo fino ad arrivare alle loro famiglie europee, dice pur qualcosa. Il terremoto prodotto in Grecia dall’emergere di un soggetto che meno di dieci anni fa non esisteva, non consente a nessuno di rapportarvisi secondo schemi consolidati. Il più vecchio di questi schemi ci fa dire «anch’io sono Syriza» o almeno «anch’io posso diventarlo». No. Nello schema della vecchia politica a Syriza non si arriva. Come non si arriva a Podemos. Non ci si arriva per evoluzione. Ci si arriva solo per una rottura, per un salto, per una re-invezione, quando riesce. Così come risponde a un logoro schema della vecchia politica pensare che il successo di Syriza possa per ciò stesso essere contagioso Sia rispetto alle sorti delle diverse componenti delle sinistre europee, sia rispetto alle politiche economiche e sociali dell’Europa.
La vittoria di Syriza è l’apertura per la Grecia di una possibilità in cui il popolo può tornare ad essere protagonista. Ma l’Europa non cambia, senza che nei diversi paesi europei si apra una nuova stagione di movimento e di conflitto. Sarà bene non caricare sulle spalle di Syriza quello che dovremmo fare noi.
Fausto Bertinotti, Il Garantista, 27/1/2015