“Io non striscio, non vado a carretta, pretendo di essere contesto del mio testo a prescindere dal contesto in cui accade, altra possibilità non c’è e non do, punto, prendere o lasciare”
Quest’anno, per la prima volta in trent’anni di attività, a parte i diritti per la ristampa di un libro di racconti pregresso e minutaglie del genere, non ho fatturato un solo euro: né televisione, né serate d’intrattenimento a sagre di tipo misto, né giornali. Il che non significherebbe niente se mi fossi fatto pagare in nero, ma io non ho mai preso un centesimo in nero, a parte un’ottantina di milioni una volta, più di vent’anni fa, per il gusto di auto denunciarmi raccontando in uno dei miei Manuali della perfetta Umanità, credo, la rocambolesca e rovinosa creazione del conto in Svizzera che ne seguì e in cui ci rimisi, con mio sommo scazzo prossimo al gaudio massimo, più del doppio che se avessi pagato le tasse e, per punirmi della mia dabbenaggine, ancorché messa in conto, distribuii a destra e a manca, con l’imprescindibile snobismo del caritatevole per euforia da senso di colpa, quel che riuscii a salvare dalle sgrinfie elvetiche.
Penso che dovrò farci il callo: all’essere messo economicamente in un angolo, intendo dire, come mille, e mille e mille e mille, d’altri, seppure per ragioni invero diverse dalle mie e neppure con la stessa intransigenza non permeabile delle mie: io non striscio, non vado a carretta, pretendo di essere contesto del mio testo a prescindere dal contesto in cui accade, altra possibilità non c’è e non do, punto, prendere o lasciare. Quindi lasciano, e lasciare me mi sembra un delitto tale che mi consolo alla svelta di avere evitato per un pelo un’ennesima cattiva compagnia. E sguazzare nella politica e quindi nell’appropriazione indebita di fondi pubblici non sarebbe il mio forte nemmeno da via via più debole e oltremodo tentabile, meglio sarebbe lasciarmi morire di consunzione, non ho alcuna simpatia per i ladri, i criminali, i mafiosi, i nullafacenti di lusso, i papponi con l’aria del protettore votato al volontariato e per le donne di entrambi i generi che se ne lasciano affascinare, e non sono un adoratore dei troppi giudici e prefetti che hanno fatto Giurisprudenza per avere più tempo, a concorso vinto, da dedicare al golf e frequentare gli ambienti giusti.
Ma, anche se mi sono voluto onesto all’osso mettendoci ogni neurone perché l’istinto della pancia è quello che è e mai erariale, mica sono un mammolo, sono pur sempre una Primadonna: anch’io, come il Colautti di quel romanzo del 1921, so da quel dì che “i più furbi sono gli onesti”. Infine: sarà una miseria con o senza poesia? Di sicuro, di integerrima nobiltà: il mio sangue non sarà mai disperato, non si coagulerà nella corruzione e non mi tradirà proprio all’ultimo momento.
Anche senza voler considerare il fatto che è improbabile che qualsiasi banca non finga un fallimento ogni quindici anni per portarsi via tutti i soldi dei clienti e che non scoppi una guerra anche in Europa, magari di religione fosse pure la religione del gas, che azzeri ogni risparmio e valore di acquisto, è sempre più inverosimile anche per me, come per un qualsiasi casellante di autostrada, non morire in miseria per via del progresso tecnologico che mi lascia di mese in mese più indietro nella possibilità di guadagnare denaro fresco grazie alle mie competenze culturali e professionali sempre più obsolete e inutili.
Io non lavorerò mai più retribuito per le cose che so fare perché è venuta meno la richiesta di mercato, seppur minima da sempre, di quelle cose tipo i libri di letteratura non per non lettori incaponiti sull’assassino, sulla tresca, sulla mamma biologica, sul culo da scoprire o, se mai lavorerò scrivendo un articolo che mi sta troppo a cuore perché riesca a inibirmelo, sarà pubblicato a titolo gratuito, come il presente qui su chissà dove e i precedenti degli ultimi due anni sul Fatto, suRepubblica, sul Corriere della Sera, su Pagina99 ̶ però è grazie proprio ai miei articoli impagabili se si capisce perché sono pagabili e pagati quelli degli altri a contratto…
E d’altronde, sempre in tema di impoverimento inarrestabile, mentre posso esimermi senza alcun contraccolpo egotico ed economico dalle ospitate televisive visto che tutti i prezzolatissimi questuanti conduttori di talk show lamentano miseria nera e gratis non mi avranno nemmeno in semicoma, non contribuirò in alcun modo neanche alla creazione di una startup per immettere nel commercio globale un robot intelligente che soddisfi bisogni indotti sempre più scientemente sfiziosi, secondari, superflui e perciò irrinunciabili per consumatori privilegiati sempre più all’avanguardia nella stupidità sempre più stampata e seriale a 3D e sempre più lucrosi per chi a quei bisogni induce e sopperisce ̶ e cannibalici di risorse ambientali bruciate alla radice che fino a poco tempo fa permettevano a milioni, anzi, a miliardi di individui in carne e ossa umane di sopravvivere decentemente ovvero di vivere in una schiavitù moderata, di vittime necessarie al sistema dei boia stessi e loro mandanti, di vittime non sacrificabili ulteriormente e quindi risparmiate perché produttive e fruttifere molto più di quanto consumavano e costavano per restare in servizio e quindi in vita abbastanza da lasciare arrugginire di tanto in tanto la scure piantata nel ceppo più che altro per ricordarci di darci una mossa e non tirare un respiro di sollievo di troppo.
Noi tagliati fuori da un progresso tecnologico sempre più estremo e inarrancabile dovremo morire del tutto da vivi, privati anche delle cose apparentemente più insignificanti per come siamo abituati e che ora nemmeno riusciamo a immaginare e a quantificare tanto ci sono connaturate e fondamentali, ma prima languiremo a lungo, assomiglieremo sempre più agli antichi casellanti delle autostrade che invisibili occupano tuttora le loro postazioni, rimaste inalterate dov’erano e com’erano per risparmiare sui costi di rimozione, rimaste lì accanto alla macchinetta che ingoia biglietto e relativo pedaggio e ti ringrazia e saluta mentre si alza la sbarra ̶ e per ogni mezzo di trasporto che passa oltre e per ogni volta che la sbarra si riabbassa resta indietro un essere umano nel suo fantasma immobilizzato al suo posto dietro il vetro dello sportello appannato e ermeticamente chiuso, nemmeno fosse a memento perenne delle arti e mestieri e dell’umanità del tempo che fu, del tempo che è.
A me, antinostalgico per costituzione e per quanto mi secchi morire in miseria, non importa affatto che il presente non sia più “la periferia del passato”, come con invidiabile civetteria dice in Party! quella cialtrona festaiola di Elsa Maxwell sempre lì a ciucciare il gozzo dei suoi ricchi e potenti anfitrioni marezzati di brillanti e di spleen, bensì sia diventato un futuro sempre più precipitato che si cancella di giorno in giorno e con sé, da un oggi diversamente ieri all’oggi già improprio domani, butta nello spam un anno, un decennio, un secolo di civiltà data o mille lavoratori al colpo che di colpo si ritrovano disoccupati e moribondi a vita, però… però che progresso scientifico sarà mai quello che o ti taglia fuori o ti taglia dentro? Nessuna scienza e nessuna neuroscienza e nessuna tecnologia per quanto avanzatissima potrà mai sopperire all’unico progresso promotore dello sviluppo intellettuale, morale, sensuale, sessuale, sentimentale, materiale e politico che ci evita di essere tagliati in due, o così da una parte o cosà dall’altra: quello dell’etica civile. La tecnica da sola non è mai stata e mai sarà la panacea alla vigliaccheria che blocca la morale e dribbla il coraggio individuale e collettivo per attivarla, altro che l’Interstellar psichico di ‘sticazzi salvifici via “ricevi/invia” e s-ciao, si trattasse pure di una navetta spaziale alla scoperta di altri pianeti in cui trapiantare l’umanità in meritata via di estinzione.
Fatta la legge, trovato l’autoinganno: sviluppata la tecnologia come di più non si può fare… e senza mai mettere in discussione un bit il problema vero della sovrappopolazione mondiale e il brutto vizio di mingere sborra alla cazzo di cane negli individui vaginodotati… e trovato il nuovo pianeta da pelare e buttare nella spazzatura spaziale, fattovi intorno il suo nuovo bel buco nell’ozono che ci ammazza tutti, tiè! E via che si caricano baracca e burattini… voi… e si fa un intergalattico San Martino! Fino a che non sarà l’ultimo pianeta dell’universo intero e daccapo il primo e l’ultimo, proprio come questo qui, proprio come adesso: sarebbe stato preferibile attivare la morale della ragione e la ragione dell’etica civile senza più darsi scappatoie e restarci, qui sulla Terra, invece di fare tante vittime per niente, davvero per niente, e tanti giri dell’oca, dal paté comunque annunciato, per tagliarsi dentro tagliando fuori e uccidersi a puntino, no?
No, è ciecamente evidente.
il manifesto, Alias, 3.1.2015