“Il vizio del potere di giocare con la violenza”
Risposta a Giancarlo Caselli di Mario Cavargna
Con Giancarlo Caselli, che ha scritto pochi giorni fa un articolo su “Il fatto”, ho un debito di stima perchè l’emozione che mi ha dato quando si propose di andare a Palermo, dopo l’uccisione di Calo Alberto Dalla Chiesa, resta incancellabile. Ma ho anche un credito di disistima per come ha condotto la vicenda dell’opposizione al progetto della nuova ferrovia tra Torino e Lione negli anni in cui è stato a capo della Procura torinese.
Ogni fatto di per sé significativo, ha tre campi di giudizio: quello della opinione pubblica, quello della magistratura e quello della storia, ognuno con un suo ambito, e neppure la magistratura, che come oppositori di questa grande opera inutile, abbiamo sempre rispettato, può chiederci di rinunciare al giudizio delle altre due. Alla fine è questo il senso delle precisazioni che ci sono state contestate: dare a tutti e tre questi giudizi gli elementi per potersi esprimere correttamente: Giancarlo Caselli parla del “vizio di giocare alla violenza” per delle affermazioni a discarico. Detta così è una prevaricazione dialettica dei diritti di giudizio indipendente dell’opinione pubblica e della Storia; un insulto per le decine di migliaia di cittadini che da 20 anni scendono in strada con la serenità della non violenza per testimoniare l’assurdità dei dati con cui si vuole proporre l’opera, contro l’attacco concentrico della casta di governo, della grande stampa ed anche di una parte della magistratura che non rispetta l’equità dei piatti della bilancia di cui si orna.
Ma, restando alla concretezza dei dati, nel suo articolo di sabato 27 dicembre, l’ex procuratore capo di Torino afferma che il progetto della Torino Lione è stato “deliberato, rispettando tutti i regolamenti e le procedure, da ogni organo competente in Italia ed in Europa”.
Questo non è vero. Non esiste ancora la firma che dia il via libera ai lavori dell’opera: al momento attuale e nella immediate prospettive restiamo sempre nella fase di studi e progetti ed il fatto che tale firma non esista ancora non è solo un fatto formale. Il trattato del 29 gennaio 2001 era condizionato, e la sua prima ed unica integrazione, il 30 gennaio 2012, specifica, al suo articolo 1, che quest’ultimo non costituisce un via libera per i lavori, per cui occorrerà un ulteriore protocollo integrativo. Di conseguenza, visto l’andamento delle cose, il 5 marzo2013, l’Unione Europea, d’accordo con Italia e Francia, ha cancellato, la parte relativa ai lavori preliminari, anche dal programma allegato all’atto di finanziamento del 15 dicembre 2008, che scadeva a fine del 2013 e che è stato prorogato alla fine del 2015.
Di conseguenza, pure la dichiarazione di “area di interesse strategico nazionale” dell’apposito articolo della Legge di Stabilità approvata a novembre 2011, motivata al fine di “assicurare la realizzazione della linea ferroviaria Torino Lione”, perde il suo presupposto fondamentale, cioè della firma che la attesti; tutto quanto se ne fa conseguire nelle sedi giudiziarie è illegittimo.
E non è giusto dire che quest’opera è deliberata dall’Europa se a questo si dà il valore di una richiesta europea: quella dell’Europa è, nella sostanza, poco più di una presa d’atto. Nel 2009, insieme a due altri esponenti del movimento di opposizione e con l’europarlamentare Agnoletto, fummo ricevuti dall’allora Commissario europeo ai Trasporti, Barrot, e dal suo staff, per un lungo colloquio privato. Alla fine, vedendo che i suoi esperti non riuscivano a contrastare le nostre argomentazioni tecniche, Barrot ci disse: “In fondo non è l’Europa che deve decidere la validità di un progetto: noi riceviamo le richieste degli Stati Membri e le amministriamo. Per l’UE basta la lettera dei due Governi che chiedono il finanziamento”. E non occorre essere stati testimoni di queste affermazioni per vedere che l’Europa non è uno stato parlamentare, ma l’emanazione della volontà del Consiglio Europeo, cioè della somma concordata della volontà dei singoli stati membri.
Non è vero infine che il progetto abbia avuto tutte le autorizzazioni, Per ora si è in attesa dell’approvazione del progetto definitivo per la parte che riguarda il tunnel, ma non è all’orizzonte quella da Susa a Chiusa, e non c’è ancora alcuna approvazione della parte tutta italiana che va da Chiusa ad Orbassano ed a Settimo Torinese, passando per il corso Marche di Torino. Si tratta di un complesso di opere che, come valore, uguaglia il tunnel di base, ma per cui il carico è solo italiano, senza alcun concorso, ora od in futuro, da parte di Francia ed Unione Europea.
Nella sostanza, l’accusa di “giocare con la violenza” non è a senso unico, ed anche il movimento No Tav, che riafferma quella radice non violenta che gli ha permesso di essere la più importante e più longeva battaglia ambientale europea, ha molto da dire sull’uso che se ne fa nelle stanze più alte del potere.