Si è avviato il dibattito intorno al futuro della Lista L’Altra Europa e di conseguenza sul futuro della sinistra. l dibattito si è avvitato su due binari quello del “cosa deve essere un soggetto politico nuovo e/o la ricostruzione della sinistra?” e quello sul “come deve essere: come fare, quali strumenti, quale struttura, quale nome?”.
In entrambi i casi ci pare evidente la diffusa scarsa consapevolezza della condizione nella quale versano “la sinistra”, i movimenti, i sindacati, la società italiana…
Lo diciamo perché da tempo proviamo a sottolineare l’urgenza di capire cosa è accaduto dagli anni ’60 ad oggi, sia in termini di mutamenti delle strutture produttive, sociali e antropologici, che nell’organizzazione delle risposte politiche e sindacali… Senza la conoscenza dei processi in corso e la conseguente consapevolezza delle responsabilità soggettive e collettive (gruppi, partiti e sindacato) non è possibile riaprire un percorso di radicale cambiamento della società verso un altro mondo possibile.
Non vogliamo fare lo stesso errore e quindi per chiarezza diremo subito che non crediamo che questa esperienza elettorale, di questo si è trattato non di altro, possa essere il preludio della ricostruzione di una sinistra radicale unitaria: non ci sono le condizioni storiche, cioè le condizioni sociali, politiche e culturali perché ciò possa accadere. Crediamo inoltre che per le stesse ragioni sia vano il tentativo di costruire un soggetto politico nuovo, almeno come comunemente lo si intende. Non è questo il tempo, la storia ci pare dire che questi appuntamenti siano rinviati, che le condizioni storiche non lo permettano.
Le convivenza tra vecchie e nuove forme di accumulazione, la frammentazione sociale, la crisi della politica e con essa della democrazia rappresentativa, l’accentuazione delle forme di individualismo proprietario e delle spinte narcisistiche nella società ci dovrebbero indurre a volgere lo sguardo altrove. Forse dovremmo decisamente gettare lo sguardo oltre il recinto del classico conflitto politico, oltre il confronto istituzionale, oltre la forma-partito, oltre le schermaglie politiche, insomma fuori dal palazzo. Non è una opzione, credo sia una scelta obbligata, dettata dalle trasformazioni in corso che rendono improponibile la ripresa dell’idea di “partito di massa” e mettono in discussione la stessa esistenza del “movimento operaio” così come è stata intesa nella seconda parte del secolo scorso.
Di quel “palazzo” potremmo, forse, usarne alcune prerogative per rafforzare situazioni di conflitto sociale o per approntare strumenti di analisi e conoscenza capaci di innestare percorsi antagonisti… Ma non dobbiamo dimenticare che, in parte, questo era il proposito del Prc ed è fallito. L’esperienza di Sel si sta, come era prevedibile, dissolvendo, quindi non c’è più spazio nemmeno per il partito-movimento. L’entrismo nel PD è soluzione ragionevole, ma senza alcuna possibilità di ottenere risultati capaci di cambiare i connotati “liberaldemocratici” di quella formazione. Si è chiuso un ciclo e, mi pare se ne stia aprendo un altro…
Crediamo sia questa l’occasione per riaprire un confronto con la storia e rimettere in discussione il parametro fondante della politica, che Machiavelli ha ben sintetizzato leggendola come la tecnica per conquistare e mantenere il potere. Dai movimenti, a partire da quelli del ’68, abbiamo imparato che è possibile cambiare la società senza prendere il potere, e dal fallimento del “socialismo reale” abbiamo capito (ma dovremo indagare ancora) che nessuna forma di potere ha la forza di cambiare nel profondo una società! Rileggere questi passaggi cruciali del secolo scorso diventa indispensabile per non rimettere gli stessi occhiali in presenza di una alterazione della vista!
I nostri occhi vedono un presente dinamico: le occasioni di conflitto si moltiplicano e occupano lo spazio dell’intero mondo globalizzato, sono tra loro diverse, ma hanno in comune l’autorganizzazione e si muovono per un autonomo processo di autodeterminazione superando, o ignorando, il meccanismo della rappresentanza. E’ una condizione di rivolta che sfugge ai parametri utilizzati nella seconda parte del secolo scorso. Rivolte difficili da ricondurre a unità, difficili da racchiudere per intero nelle coordinate ideologiche del ‘900. Queste rivolte mettono insieme soggetti diversi con storie e condizioni diverse, accomunati da bisogni che si manifestano e si esprimono nello stesso momento in cui agiscono… Quasi come “se la rivolta fosse, in sé, la sospensione temporanea di una condizione intollerabile…”(Franco Berardi).
Ce ne sono tante, grandi e piccole, diffuse sul territorio italiano: sono rivolte di precari, o di cittadini che vogliono salvaguardare il territorio, o aprono e gestiscono spazi comuni, o per la difesa del posto di lavoro, o comunità che si pongono l’obiettivo di avviare nuove forme di consumo e anche di produzione… Sono le emergenze del nostro presente: cosa possiamo fare di diverso se non mescolarci con esse?
Nessuno può avere la pretesa di rappresentare alcunché (anche perché non si fanno rappresentare: il movimento NoTav ce l’ha detto!). Se vogliamo davvero metterci in movimento partendo dal basso, oggi vuol dire partire da coloro che la politica la praticano senza mediazioni, direttamente nella gestione dei bisogni concreti e non delle aspirazioni future. Dobbiamo partire da quelle comunità resistenti che stanno costruendo esperienze di vita alternative, che aprono conflitti per la difesa del territorio e il rispetto dei diritti.
Con le forze che abbiamo è loro che dobbiamo provare a connettere e riunire, è con loro che dobbiamo dialogare, è insieme a loro che dobbiamo aprire vertenze e costruire conflitti. Lo dobbiamo fare senza misurare la gradazione di rosso che quelle esperienze contengono: sono rivolte, fatte da persone e soggetti collettivi che vivono una condizione e gestiscono in comune dei bisogni e lottano per cercare una soluzione e trovare uno sbocco.
Noi siamo solo una ex lista elettorale e non possiamo correre il rischio di restare una élite, la nostra “identità” si costruisce nella ricerca e nel conflitto.
Con le forze e le risorse che abbiamo pare prioritario costruire una mappa di tutti i conflitti in corso, i contenziosi piccoli e grandi aperti nei luoghi di lavoro e sul territorio. Dobbiamo censire tutti i comitati di lotta, i collettivi antagonisti, i comitati di migranti, ecc… che operano sul territorio, tutte le comunità resistenti che praticano azioni di disturbo o azioni di critica alla cultura e all’economia del tempo presente, ecc… E poi lavorare con loro e trovare i modi per mettere insieme queste esperienze… e dare un respiro nazionale, europeo e globale a queste azioni.
Solo così sarà possibile dare vita a qualcosa.
Abbiamo tempo, perché nell’epoca della globalizzazione neoliberista i tempi della politica buona sono lunghi. Mentre il livello istituzionale è secondario, dobbiamo costruire fin da subito “una relazione pericolosa” con i movimenti e la società, provare a dare, insieme, un respiro nazionale e transnazionale alla loro, che deve divenire la nostra, azione…
E poi c’è un’altra cosa di grande importanza: dobbiamo avere chiara, anche nella discussione, la differenza di genere, con la coscienza che deve essere superata subito, nella pratica quotidiana, questa egemonia del maschile che discrimina, emargina e toglie spazio a quella fetta di società che ha costruito il proprio profilo lontano dalle logiche del potere (se non quando imita i maschi). La lingua, i tempi e i bisogni espressi in questo dibattito sono prevalentemente maschili, incapaci di tener conto della molteplicità delle sensibilità e delle esigenze possibili!
Se non ci muoviamo su questi terreni costruiremmo una nuova forza di sinistra molto simile a quelle vecchie: fatte di volontà soggettive caricate di un impianto ideologico obsoleto perché rifiuta il confronto con la prova dei fatti!.
Da queste considerazioni faccio discendere alcune proposte immediate che superano a piè pari le questioni della forma dell’organizzazione, convinto come sono che la forma possa essere solo il prodotto dell’azione concreta messa in moto sul territorio, nei luoghi della produzione e in quelli del consumo, dopo lo scioglimento nella società e nei movimenti.
Proposte
A. Decidere insieme che una parte degli introiti degli eletti al Parlamento Europeo vengano versati al collettivo nascente per realizzare progetti programmati, organizzati, preventivati e rendicontati.
B. Rendere permanente la relazione periodica di informazione del lavoro svolto dagli eletti al Parlamento europeo.
C. Cinque progetti di intervento:
primo progetto: avviare, diffusamente, nei territori una campagna di informazione/confronto sull’Europa, per conoscere: le politiche economiche, le scelte politiche, le istituzioni europee, gli spazi politici entro i quali una forza antagonista possa intervenire, ecc…;
secondo progetto: avviare, diffusamente, nei territori una campagna di informazione/confronto su alcuni grandi temi per rendere possibile una analisi collettiva della società contemporanea. Questi i temi:
- Per la critica dell’economia politica: riflessioni e analisi intorno alle forme del capitalismo globalizzato; beni comuni; ambiente e territorio.
- Per la critica del lavoro: lavoro che cambia; flessibilità e precarietà; lavoro/non lavoro/tempo libero; riduzione generalizzata dell’orario; reddito di cittadinanza.
- Per la critica della scienza: determinismo/relativismo; scienza, tecnologia e mercato.
- Per la critica della politica: crisi della politica e crisi della democrazia; democrazia rappresentativa vs democrazia partecipata; oltre la forma-partito.
- Per la critica della società narcisista: individualismo proprietario; frammentazione esibizione e identità; consumo e piacere; media, comunicazione e spettacolarizzazione.
terzo progetto:
- mappatura di tutti i Comitati di lotta (di vario tipo: ambientali, locali, per la casa, di precari, comunità resistenti, ecc…) presenti in Italia e in Europa;
- predisporre una rete di contatti tra queste realtà in lotta. Aprire luoghi virtuali dove possano essere condivise le informazioni;
- costruire, a livello regionale, nazionale prima e europeo poi, momenti di confronto e scambi di esperienze, per individuare elementi comuni, differenze e possibili forme di mutua collaborazione, per la realizzazione di un fronte attivo, nazionale e europeo, di “resistenza” alle politiche neoliberiste;
quarto progetto: mappatura delle emergenze sociali, ambientali e culturali distribuite sul territorio italiano (e europeo) sulle quali sarebbe possibile aprire vertenze (con l’azione indispensabile delle popolazioni locali).
quinto progetto: aprire e sviluppare un confronto nella società, nel mondo sindacale e politico su due temi fondamentali per affrontare la questione lavoro:
- la riduzione generalizzata dell’orario di lavoro come strumento per aumentare l’occupazione e ridistribuire le risorse;
- l’introduzione del “reddito di base incondizionato” quale strumento per ridurre flessibilità e precarietà, ma anche per avviare un processo di “liberazione dal lavoro”.
D. Fare inchiesta, dove possibile, nei territori, sui luoghi di lavoro, tra le comunità resistenti, ecc… E’ lo strumento indispensabile per conoscere e capire condizioni e bisogni. E’ la pratica che può fornire strumenti di comprensione della realtà e favorire la “coscienza” della propria condizione e dei bisogni dei soggetti che partecipano all’inchiesta. E’ indispensabile per qualsiasi pratica politica e sociale. Senza inchiesta continueremo a desiderare senza sapere cosa e perché!
E. Avviare un percorso permanente di riconsiderazioni delle questioni di genere che a partire dal linguaggio utilizzato e dalle “pratiche di potere” sappia condizionare i comportamenti politici per dare vita ad una comunità plurale, capace di incidere sulle intolleranze della società.
Solo questo. Ambizioso? solo necessario! Senza pensare, a priori, chi siamo e come siamo… Durante l’azione e l’elaborazione collettiva, tra i soggetti sociali coinvolti, potremo assumere il profilo che stiamo insieme cercando.
Sono necessarie risorse economiche e persone capaci di svolgere un ruolo di stimolo e organizzazione dei progetti, che devono essere realizzati innanzi tutto nei territori, per raccogliere nuove partecipazioni proprio a partire dai progetti.
Le persone ci sono certamente, per le risorse economiche dovrebbero pensarci gli eletti e le sottoscrizioni.
Marco Sansoè
Biella, estate 2014
Alcuni letture suggerite…
S.Bologna, A.Fumagalli (a cura di), Il lavoro autonomo di seconda generazione Feltrinelli 1997
Riccardo Bellofiore (a cura di), Il lavoro di domani Biblioteca Franco Serrantini 1998
Christian Marazzi, Il posto dei calzini Bollati Boringhieri 1999
Sergio Bellucci, e-work. Lavoro, rete e innovazione DeriveApprodi 2005
Marcello Cini, Il supermarket di Prometeo Codice edizioni 2006
Prem Shankar Jha, Il caos prossimo venturo Neri Pozza 2007
Maura Franchi. Il senso del consumo Bruno Mondadori 2007
E.Pulcini, La cura del mondo Bollati Boringhieri 2009
AA.VV., Reddito per tutti manifestolibri 2009
S.Settis, Paesaggio Costituzione Cemento Einaudi 2010
U.Mattei, Beni comuni. Un manifesto Laterza 2011
A.Lucarelli, Beni comuni. Dalla teoria all’azione politica Dissensi 2011
L.Gallino, La lotta di classe dopo la lotta di classe Laterza 2012
A.Fumagalli, Lavoro male comune Bruno Mondadori 2013
Renato Curcio (a cura di), Mal di lavoro Sensibili alle foglie 2013
Fondaz.Cercare ancora, Capitalismo finanziario globale e democrazia in Europa Ediesse 2013
Borrelli, Carolis, Napolitano, Recalcati Nuovi disagi nella civiltà Einaudi 2013
Dardot-Laval, La nuova ragione del mondo DeriveApprodi 2013
Emanuele Ferragina, Chi troppo chi niente BUR 2013
Gabriele Polo, Giovanna Bursier, Lavorare manca Einaudi 2014
Gli ultimi numeri, 27-32, della rivista Alternative per il socialismo.
…e due romanzi, uno “vecchio” l’altro “nuovo”…
Paolo Volponi, Le mosche del capitale Einaudi 1989
Francesco Pecoraro, La vita in tempo di pace Ponte alle Grazie 2013