La crisi in atto mostra i limiti del chavismo
Geraldina Colotti Intervista. L’economista Manuel Sutherland, voce critica alla sinistra del governo bolivariano
La base bolivariana chiede pugno di ferro contro gli imprenditori e l’estrema destra mentre il governo cerca un improbabile dialogo con la borghesia che vuole distruggerlo», dice al manifesto l’economista Manuel Sutherland, membro dell’Asociación Latinoamericana de Economía Marxista (Alem). Uno sguardo indipendente e critico, a sinistra del chavismo.
Come interpreta il quadro politico venezuelano?
Nel campo chavista, esiste un’ala moderata di governo (una “sinistra” liberal), che attualmente ha un peso quasi assoluto, e una più di sinistra, che ha poca voce. I moderati cercano il “dialogo” con la destra anticomunista e tentano di calmare l’estrema destra con la strategia del “lasciar fare lasciar passare”, ossia con il logoramento. Nel governo, la socialdemocrazia ortodossa cerca di regolare controllare e tassare un po’ di più il capitale privato e approfondire la distribuzione assistenziale della rendita petrolifera tra i meno favoriti. Per la squadra di Nicolas Maduro, la sinistra di governo con le sue eccessive regolazioni e controlli ha creato difficoltà allo sviluppo del capitale nazionale. Per questo prospetta scelte più morbide sul piano economico e politico, che portano all’aumento dei prezzi dei servizi o dei beni alimentari regolati, facilita la consegna di dollari agli imprenditori, flessibilizza il controllo dei cambi… Quel che sembra prospettarsi è sì il mantenimento delle forme popolari-assistenziali del governo, ma con qualche immissione di programmi economici più liberisti e ortodossi.
Quale fisionomia assume in questo scontro l’opposizione?
L’opposizione si divide in due. La destra tradizionale cerca di negoziare con il governo prebende economiche immediate e mira a eliminare il chavismo per via elettorale. L’estrema destra anticomunista tenta di promuovere un “golpe suave” stile Ucraina, Siria o come nella ex-Jugoslavia. La prima ritiene impossibile far cadere un governo che ha un grande appoggio popolare e controlla l’esercito, il parlamento, il Tribunal de Justicia, il Consejo Electoral e i collettivi popolari armati. Per questo, approfitta dei problemi economici per ricattare lo Stato esigendo misure più liberiste che agevolino gli imprenditori. L’ala più anticomunista costituisce una minoranza guidata da Leopoldo Lopez e Maria Machado. Entrambi sono risultati ultimi nelle elezioni interne dell’opposizione che Capriles ha vinto con assoluta facilità. All’inizio dell’anno non avevano peso nel panorama politico. Per questo sono i più aggressivi nella lotta per far cadere con la forza il governo. Chiamano i militari al golpe, ricevono aiuti economici dagli Usa e dalla Comunità europea, coordinano o appoggiano l’impiego di mercenari-paramilitari responsabili di vari omicidi e istigano la gente a distruggere il governo a forza di barricate, blocchi stradali, incendi e aggressioni fisiche. Questo gruppo ultra-violento perde forza ogni giorno di più, le sue azioni diventano sempre più disordinate e anarchiche. Non esiste articolazione o direzione al suo interno. L’odio li spinge a questo tipo di azioni che può organizzare solo nelle zone dove vive la popolazione di classe media e alta o nelle vicinanze. La classe operaia è parimenti frammentata. Una buona parte, quella che ha meno risorse, appoggia il governo e spera che le politiche di pacificazione abbiano un effetto positivo. La parte più radicale, più formata politicamente, combatte l’opposizione forsennata nel proprio quartiere. Avanza proposte rivoluzionarie di autogestione, chiede fermezza contro i sabotatori e prospetta misure anticapitaliste. Questa è “l’avanguardia” del chavismo, che diventa ogni giorno più critica e chiede a bassa voce un cambiamento. Purtroppo, il governo impedisce che questa avanguardia sviluppi le sue istanze rivoluzionarie e ne sfinisce le energie in una serie di imprese sterili: marce “per la pace”, concerti “per la pace”, che generano noia e frustrazione. Anziché rendere protagonista l’avanguardia bolivariana, il governo le lancia appelli continui perché “rimanga a casa” e lo lasci negoziare dall’alto la pax romana con gli sfruttatori e i “fascisti” che in teoria dovrebbe distruggere… La classe operaia che si percepisce come socialista è pochissima e atomizzata e non sa come esprimere il suo malcontento per paura di cadere nelle trappole dell’opposizione. E’ indubbio che debba appoggiare il governo per evitare che l’estrema destra si prenda il potere, ma è anche necessario che pensi a un’organizzazione indipendente, a un programma rivoluzionario: per superare da sinistra il chavismo e realizzare con una rivoluzione radicale socialista le promesse del governo, che rimarranno lettera morta se permane il controllo sociale esercitato dalla borghesia.
E sul piano economico? La destra dipinge un paese allo sbando che ha dilapidato le proprie risorse: inflazione stellare, svalutazione.
Le divise sono abbondanti e sufficienti. Solo che la differenza del 1.500% tra il tipo di cambio ufficiale e quello parallelo fa sì che ci sia una domanda puramente speculativa di divise da parte degli imprenditori locali che si arricchiscono con questo meccanismo. Durante il periodo del controllo dei cambi, il Venezuela ha scontato una fuga di capitali di circa 150 mila milioni di dollari, equivalenti a circa il 43 % del Pil del 2010, un vero disastro. Questo saccheggio di capitali svuota le casse della nazione, porta alla svalutazione della moneta locale e al rafforzamento delle quote speculative del cosiddetto dollaro parallelo, che si vende 15 volte di più di quello ufficiale. Le imprese che impiegano divise per esigenze fondamentali (investimenti, materie prima, macchinari) non ne hanno a sufficienza perché gli speculatori corrompono i funzionari e le stornano sul mercato nero. Il governo rifiuta di affrontare in maniera pratica e materialista i problemi economici e cerca un infruttuoso dialogo con la borghesia che vuole rovesciarlo. Crede alla fantasia di un imprenditore patriottico che rinunci ai profitti straordinari che può ricavare dall’importazione fraudolenta di divise e dalla speculazione. L’imprenditoria privata, dall’entrata in vigore del controllo dei cambi, nel 2003, ha ottenuto 317 mila milioni di dollari, più di tre Piani Marshall, e il risultato è una scarsità tremenda e una pessima qualità del servizio. Il governo immagina un capitalista ragionevole e amorevole che ovviamente non esiste. E’ con questa figura che intende negoziare, anche se l’azione normale di questi capitalisti, ossia il processo di accumulazione del capitale, precipita il paese nella miseria. La svalutazione, l’inflazione, la caduta del potere d’acquisto del salario, la penuria di prodotti denotano l’inutilità di perseverare in una situazione in cui la borghesia, detenendo il grosso del potere economico, produce un gigantesco vuoto di capitali. In Venezuela, 400 mila capitalisti si appropriano del 60% del Pil, a scapito di oltre 13 milioni di lavoratori a cui solo va il 40%. Misure come quelle di svalutare nuovamente la moneta, dopo averla svalutata l’anno scorso del 46% sono state accolte molto male dalla base bolivariana che aveva creduto all’idea del “bolivar forte”, una moneta che non avrebbe dovuto perdere continuamente valore. Benché lo stato tenda a calcolarla al ribasso, l’inflazione nel 2013 è arrivata fino al 56%: la media più alta del mondo, vicina a quella della Siria e del Sudan. L’inflazione distrugge il salario reale e rende poco significativo l’aumento salariale del 10% che il governo ha fissato per decreto all’inizio del 2014. La base sociale bolivariana chiede pugno di ferro contro gli imprenditori. Il governo però si limita a imporre leggi, controlli, sanzioni e un mucchio di misure che risultano insufficienti.
il manifesto, 9/4/20114