“Costi quel che costi, non indosseremo la divisa”
Intervista. Cinquanta “shministim, ragazzi delle scuole medie superiori israeliane, scrivono una lettera al premier Benyamin Netanyahu per affermare il rifiuto di far parte di un “Esercito dell’occupazione” e per chiedere la fine dell’influenza delle Forze Armate sulla società. Parla la 17enne Dafna Rothstein Landman
Costi quel che costi, non indosseremo la divisa. I soldati israeliani, protestano 50 “shministim”, «violano diritti umani e compiono azioni che il diritto internazionale considera crimini di guerra. Ci opponiamo all’occupazione dei Territori palestinesi…ad esecuzioni mirate, costruzioni di insediamenti colonici, arresti amministrativi, torture, punizioni collettive». E’ una scelta e allo stesso tempo un pesante atto di accusa che queste decine di ragazzi delle scuole medie superiori israeliane, hanno scritto in una lettera spedita al premier Benyamin Netanyahu. «Ci rifiutiamo di abbandonare i nostri principi come condizione per essere accettati nella società», affermano, rivolgendo agli israeliani l’invito «a riconsiderare la loro posizione in merito all’occupazione , l’esercito e il ruolo dei militari nella società civile». Sottolineano i mali che individuano nella società israeliana: «razzismo, violenza, discriminazioni etniche». Pochi hanno accolto con favore la scelta di questi adolescenti. I siti web israeliani che hanno riportato l’annuncio abbondano di rimproveri e insulti. Qualcuno invita questi ragazzi a lasciare Israele, a trasferirsi altrove. Loro, nonostante la giovanissima età, non demordono e avvertono che nuove firme si stanno aggiungendo i primi cinquanta nomi. Sono consapevoli di essere il gruppo più numeroso di “refusenik” ad uscire tutti insieme allo scoperto da quando, a cavallo tra il 2001 e il 2002, centinaia di riservisti israeliani, ufficiali e soldati, proclamarono il loro “rifiuto”. La loro protesta coincide con la manifestazione di massa tenuta qualche giorno fa a Gerusalemme da centinaia di migliaia di ebrei ortodossi contro la leva, che anche per loro, proprio in questi giorni, dovrebbe diventare obbligatoria con il via libera della Knesset alla legge voluta dal governo. Ieri a Tel Aviv abbiamo incontrato Dafna Rothstein Landman, 17enne portavoce dei giovanissini obiettori di coscienza.
Quando avete deciso di scrivere questa lettera, indirizzata a Netanyahu ma di fatto rivolta a tutti gli israeliani?
E’ una idea che parte da lontano. La scorsa estate abbiamo cominciato a discutere del servizio militare che ci attende dopo la scuola. Qualcuno aveva già ricevuto il telegramma di convocazione da parte delle Forze Armate. Cosa facciamo? Ci chiedevamo sempre più di frequente. Questo interrogativo nei mesi successivi si è allargato a ragazzi di altre scuole e tanti hanno risposto, in modo esplicito, di non essere disposti a far parte di un esercito che compie crimini contro un popolo sotto occupazione (i palestinesi, ndr). Altri sono andati oltre affermando il rifiuto totale del servizio di leva e del suo ruolo nella costruzione della società israeliana.
Un dibattito importante per una società come quella israeliana che considera l’Esercito il suo pilastro.
Senza dubbio e va ancora avanti, proprio perchè l’obiettivo è quello di coinvolgere un numero crescente di nostri coetanei. Nonostante le reazioni contrarie che affronteremo molto presto. La nostra lettera è troppo recente e sino ad oggi abbiamo registrato risposte solo sul web e non da parte delle istituzioni o dell’ufficio di Netanyahu. Sappiamo già che dal primo ministro non avremo commenti al nostro appello, preferirà ignorarci, mentre ci aspettiamo presto le reazioni di una parte consistente del mondo politico.
Reazioni che vi preoccupano?
No perchè siamo determinati e convinti delle posizioni che abbiamo espresso in quel documento che ha due punti fondamentali. Il primo è il rifiuto dell’occupazione (dei Territori palestinesi) e di ciò che commette l’esercito contro i palestinesi. Il secondo, altrettanto centrale, è il rifiuto della pesante influenza delle Forze Armate nella società israeliana. Faccio un esempio. Un ragazzo israeliano a 16–17 anni, mentre si avvicina la fine della scuola, non discute con amici e compagni di classe di cosa vorrebbe studiare all’università o di come intende costruire la sua formazione verso il mondo del lavoro. Parla invece del servizio di leva, del mondo militare, pensa e agisce in modo completamente diverso da un ragazzo di un altro posto del mondo. La pressione dell’Esercito sui giovani israeliani è enorme, oltre a condizionare tutta la società.
Qualcuno di voi è mai stato nei Territori occupati?
Sì, tanti tra quelli che hanno firmato il documento sono stati in Cisgiordania. Anche io, diverse volte.
Cosa ti ha colpito di più, quale situazione ha contribuito di più ad orientare la scelta che hai fatto di rifiutare il servizio di leva.
Credo che per me sia stato molto importante partecipare alle manifestazioni (nei Territori occupati) a sostegno delle comunità palestinesi minacciate dalla costruzione del Muro. In quell’occasione ha potuto vedere di persona cosa ha significato per i palestinesi e la loro vita la realizzazione di questo gigantesco progetto dell’occupazione. E ho anche visto la risposta brutale e violenta dell’Esercito alle proteste dei palestinesi. Quando vai nei villaggi e conosci le persone, parli con loro, vedi cosa soffrono, allora capisci che non sono credibili le notizie che la sera ascolti dalla televisione e comprendi di aver avuto la possibilità di capire la realtà dell’occupazione, senza più filtri e omissioni. A quel punto chi vede, chi sa è chiamato a scegliere, deve decidere. E noi abbiamo deciso, abbiamo fatto la nostra scelta. Ed esortiamo i nostri coetanei, tutti gli israeliani, a riflettere, a ripensare a un modello di vita e di comportamento. Lo facciamo per mettere fine all’occupazione e all’oppressione dei palestinesi e per costruire una società israeliana completamente diversa da quella attuale.
il manifesto, 11/3/2014