E’ evidente: la politica di Israele ha come obiettivo cancellare lo stato palestinese “istituito” ma mai esistito, perché sotto la sua tutela. Ne decide le sorti attraverso la costruzione del muro; con l’uso delle frontiere per regolare il mercato del lavoro; con il controllo dell’approvigionamento idrico; con i continui insediamenti dei coloni, sia a Gerusalemme che in Cisgiordania; con l’embrago economico sulla striscia di Gaza; con gli arresti idiscriminati, anche di bambini.
L’Europa e gli Stati Uniti favoriscono il proseguimento dei “colloqui di pace” che sono, sempre di più, l’alibi che permette a Israele di proseguire nella sua politica di discriminazione e aparthaid, sia nei confronti dei palestinesi di Israele che del cossidetto “stato palestinese”.
E mentre i paesi che possiedono l’atomica (Israele compreso) decidono se l’Iran possa dotarsi di “energia nucleare”, lo stato di Israele si prepara allo scontro militare generalizzato nell’area mediorientale.
Israele va fermata senza indugiare. Sbaglia chi confonde Israele con la cultura ebraica. Sbaglia il presidente Napolitano quando identifica la critica, necessaria e urgente, allo stato di Israele con l’antisionismo.
Fermare Israele, isolarlo politicamente è necessario per garantire l’esistenza delle popolazioni palestinesi: fermiamo gli insediamenti delle colonie; obblighiamo Israele a rispettare le risoluzione delle Nazioni Unite; boicottiamo economicamente Israele; fermiamo la sua politica distruttiva in Medio Oriente!
Qui di seguito un utile intervento di Zvi Schuldiner apparso su il manifesto del 8/11/2013.
Israele/Palestina.
Tra «uno stato» o «due stati» alla fine vince «nessuno stato»
Zvi Schuldiner
La vittoriosa formula “due stati” Il principale argomento contro chi sostiene la formula dello stato unico è che se non si può arrivare alla formula dei due stati a causa degli ostacoli frapposti dal governo israeliano, sarà a maggior ragione impossibile
Proprio nei giorni in cui emerge quanto sia verosimile l’ipotesi che Arafat sia stato assassinato – argomento che merita un articolo a parte – il segretario di stato americano Kerry gira di nuovo il Medio oriente per diffondere i dogmi americani di pace, democrazia e progresso. Compito difficile, obbligo di virtuosismi da equilibrista.
Kerry arriva in Egitto per verificare se si tratta di golpe militare o di rivolta popolare. Dopo essersi allegramente sbarazzati dell’alleato Mubarak gli americani avevano festeggiato il ritorno alla democrazia con l’elezione del presidente Morsi. Ma cosa significava il comportamento dell’esercito, comandato dal generale Sisi? Se non si trattava di un atto democratico, gli Usa avrebbero dovuto congelare l’appoggio economico all’Egitto. Ma felicemente Kerry conclude che si è trattato di una rivolta popolare: niente colpo di stato, le buone relazioni con l’Egitto possono continuare… e subito dagli egiziani arrivano consigli per la situazione in Siria, dove gli americani avevano sfiorato la catastrofe, grazie alla formula di Putin che aveva impedito un attacco militare.
Gli Usa ormai non hanno più idea di chi stanno appoggiando: alcuni degli elementi armati dalla democrazia americana ricordano le peggiori fasi dell’appoggio ai fondamentalismi islamici per buttar fuori i sovietici dall’Afghanistan.
Abu Mazen riceve 26 prigionieri liberati (“assassini con sangue sulle mani”)? Netanyahu si “vede obbligato” ad annunciare la costruzione di alcune migliaia di nuove unità abitative nei Territori. E mentre monta l’ira, la sorte spedisce Kerry a far proseguire i “negoziati di pace”! Europei e americani sanno che questi negoziati non portano a nulla, ma continuano nella farsa per preservare interessi interni e non danneggiare le problematiche alleanze tra Vecchio e Nuovo continente.
La vittoriosa formula “due stati”
Il principale argomento contro chi sostiene la formula dello stato unico è che se non si può arrivare alla formula dei due stati a causa degli ostacoli frapposti dal governo israeliano, sarà a maggior ragione impossibile giungere a uno stato binazionale: i problemi creati da questa soluzione sembrerebbero insolubili
Se anche questo fosse certo – e da oltre quarant’anni favorisco i “due stati” – diventa ogni giorno più chiaro che questa formula non fa che coprire la politica negazionista di Israele. Non si tratta solo delle colonie – tutte illegali – ma del fatto che la somma delle posizioni di base del governo israeliano rende impossibile qualsiasi autentico accordo di pace. Persino se l’attuale leadership palestinese accettasse le condizioni di Israele al fine di mantenere i propri privilegi, ciò non significherebbe vera pace e non riuscirebbe a nascondere il problematico progetto israeliano, e presto o tardi arriverebbe una nuova esplosione.
Le condizioni di base per uno stato palestinese sono negate da un governo che non solo disconosce la presenza palestinese a Gerusalemme ma propone in realtà uno “stato” a sovranità limitata, smilitarizzato, senza vere frontiere e del tutto controllato da Israele.
Con il consapevole pretesto della “sicurezza” il governo israeliano prosegue una politica colonialista che comporta l’estensione della presenza dei coloni israeliani nei Territori ed esige l’annessione di vaste frange di territorio che trasformano lo “stato” palestinese in uno scherzo di cattivo gusto, una patetica unione di bantustan controllati da Israele.
La realtà sul terreno sta travolgendo le formule due stati-uno stato: con l’appoggio dei centri di potere dell’ultradestra e dei fondamentalismi religiosi di taglio nazionalista, con il crescente e preoccupante razzismo di caratteristiche neofascista, si stanno creando condizioni che implicherebbe la necessità di un sistema di apartheid per consolidare la formula dello “stato unico” sotto governo puramente israeliano.
Le discussioni sulle diverse alternative mancano di senso. Il governo israeliano continuerà con le trattative non per una vera pace ma per evitare la pressione internazionale. Pressione oggi trascurabile, ma l’Europa comincia – finalmente! – a frapporre qualche ostacolo ai prodotti delle colone, e aumenta i segnali di stanchezza e impazienza di fronte alla politica aggressiva e negazionista del governo israeliano.
Obama, gli americani
Considerato tutto ciò, si è già abbastanza chiarito il triste ruolo di quella grande promessa che sembrò essere per un momento il premio Nobel per la pace Obama. Mentre la crisi del neoliberalismo e i risultati della politica criminale di Bush si fanno sentire in tutta la regione, Obama continua con una linea che rafforza le formazioni fondamentaliste, mantiene alleanze spurie, appoggia la politica espansionista di Israele e i nuclei fondamentalisti anti-Assad (si sono già dimenticati del loro appoggio a Bin Laden?)
La crisi del neoliberalismo, forze del capitalismo, minaccia di far saltare tutte le alleanze conosciute e di risolvere l’attuale situazione con altre tragiche esplosioni. La politica americana, l’appoggio a un governo israeliano di taglio sempre più annessionista, nazionalista e fondamentalista, un’Europa che insiste con le ricette del passato per superare la crisi economica, tutto ciò sottolinea sempre più chiaramente che gli attuali negoziati sono poco più di un atto di masturbazione pubblica che nasconde la sofferenza di un popolo occupato.
Così il dibattito “uno stato-due stati” diviene irreale, non rilevante, una farsa che conduce entrambi i popoli su un sentiero oscuro. Mentre i cambiamenti in Iran potrebbero comportare un’evoluzione pacifica nel regime, l’attuale strada senza uscita crea una situazione pericolosa, e potrebbe persino servire da pretesto al governo israeliano per un attacco militare all’Iran. Non servirebbe nemmeno la scusa della possibile bomba atomica iraniana. E questo sarebbe una maniera in più di scatenare l’inferno nella regione.
il manifesto, 8/11/2013