Riflessione a margine della conferenza “La nostra Costituzione, un bene da difendere”, tenuta dal prof. Andrea Giorgis, presso la Camera del Lavoro di Biella, lunedì 7 ottobre 2013.
Il prof. Giorgis ha argomentato molto chiaramente che la Costituzione è nata con la funzione di controllo del potere del denaro (il potere economico), della forza derivata dal consenso (il potere politico), dei saperi prevaricanti (il potere culturale e mediatico). E che questa funzione si esprime attraverso la separazione, la distribuzione e la limitazione di questi poteri.
Nel proseguo della conferenza ha altresì affermato che di fronte alla crisi della politica e delle istituzioni appare necessario lavorare per cambiare la seconda parte della Costituzione al fine di realizzare interamente e rendere efficace la prima parte della stessa.
Ho molte perplessità “storiche” e di metodo.
1. tutte le modifiche introdotte recentemente, così come tutte le riforme istituzionali, sono state finalizzate alla cosiddetta “governabilità”, ignorando la necessità di attivare forme politiche atte ad allargare la partecipazione dei cittadini e ad avvicinare questi alla politica;
2. quelle modifiche hanno complessivamente ridotto il ruolo della effettiva rappresentanza, attraverso la cancellazione della proporzionalità del voto. L’introduzioni di collegi uninominali e di premi di maggioranza hanno tolto definitivamente il principio di “una testa un voto”, poiché il risultato definitivo cancella e/o moltiplica i voti;
3. l’introduzione del pareggio di bilancio nella Costituzione è un atto che mina qualsiasi ipotesi di costruzione di un welfare state capace di realizzare le intenzioni di “uguaglianza” contenute nella prima parte della Costituzione;
4. per iniziare il processo di riforma della Costituzione si pensa di intervenire subito sull’art. 138 per rendere più facile l’iter e giungere più rapidamente alle modifiche, riducendo le garanzie di approfondimento e il ruolo del referendum popolare in materia costituzionale.
Queste premesse mi inducono, almeno, ad essere molto prudente sulle reali intenzioni dei “riformatori”.
Mi pare che la pesante attenzione posta da anni sulla “governabilità” sia in aperto contrasto con l’intento della Costituzione, che è quello di svolgere un ruolo di limitazione del potere politico!
La crisi di credibilità della politica e delle istituzioni, sfociata nel “governo tecnico” e in quello “delle larghe intese”, ha trovato nel rafforzamento delle prerogative del Presidente della Repubblica un pericoloso alleato, che rischia di rendere più facile l’apertura di credito al presidenzialismo e al semipresidenzialismo.
Mi pare, inoltre, che “la crisi della politica” (dei partiti e delle istituzioni) e con essa l’onda lunga dell’antipolitica debbano, e possano, essere affrontate non certo con soluzione tecnico-istituzionali ma con una profonda riflessione sul ruolo della democrazia rappresentativa e della “forma partito”, per avviare un percorso che apra la strada a nuovi strumenti di democrazia diretta nei luoghi di lavoro, nei servizi e sul territorio.
marco sansoè