Un cambiamento che viene dal basso
La risposta all’implosione elettorale della sinistra radicale e alla crisi del centrosinistra può arrivare dalla convergenza tra i movimenti che hanno lavorato alla costruzione di nuovo legame sociale, alla difesa dei beni comuni per uno sviluppo sostenibile
Alberto Ziparo
«Riprendiamoci Messina, dal basso»; è il fortunato slogan con cui Renato Accorinti, già attivista «No Ponte», ha chiamato movimenti ed abitanti a partecipare alle elezioni comunali. Fino a vincerle e a diventare sindaco, a capo di una giunta di rappresentanti di comitati e gruppi, associazioni, esperti «eretici» che adesso intende governare la città dello Stretto con i cittadini; in nome di una svolta verso un autogoverno locale in tutti i sensi «ecologico»: un’autentica rivoluzione per una realtà urbana fino ad ieri dominata ed oppressa da un potere locale trasversale, legato ai carrozzoni politico-clientelari, espressione di interessi speculativi che asfissiano quella come altre città, non solo meridionali.
Non sempre e dovunque l’obiettivo può essere quello di Accorinti e i «No Ponte» messinesi. Tuttavia l’entusiasmante, anche se certo non facile, esperienza avviatasi sulla sponda peloritana dello Stretto – dopo la cancellazione del Progetto Ponte – facilita alcune riflessioni sulla necessità di una risposta diffusa collettiva alla crisi della politica istituzionale; che, al di là delle declaratorie, nel perpetuare se stessa – almeno a livello nazionale, anche dietro le grottesche agitazioni conseguenti alle eterne vicissitudini giudiziarie del Cavaliere – lungi dal risolverla, alimenta la drammatica perdita di diritti sociali e civili e di qualità economica e ambientale che stiamo vivendo.
Le macerie della sinistra
«Il manifesto» lo scorso anno aveva già aperto una riflessione su temi simili, avviata con un articolo di Alberto Asor Rosa sulla necessità del «neoambientalismo». Quel dibattito si era concluso con forti istanze di maggiori coordinamenti tra le tantissime soggettività (ormai una moltitudine?) che si muovono sui temi della difesa dell’ambiente, del territorio e del paesaggio, oltre che del lavoro e del welfare, nonché della gestione innovativa dei beni comuni. Magari provando ad esplicitare i caratteri che ne prospettano le potenzialità rispetto ad azioni politiche allargate, plurali e relazionate, anche se non collettive. Probabilmente anche da quelle riflessioni sono nate esperienze quali Alba o i tentativi di costruzione di coordinamenti tra diverse realtà sociali e politiche di base. Frustrate poi dall’accelerazione verso la scadenza elettorale nazionale e dallo scontro con la presenza delle macerie dei partitini di estrema sinistra(?): un ceto politico ormai residuale in cui, a scapito pure di grandi intelligenze e culture politiche che non mancano, sembra prevalere percorsi di carriera politica sotto l’egida di sigle che ancora si pensava godessero un minimo di credito politico-elettorale. Fino ai fallimentari risultati di Rivoluzione Civile, in cui pure molti elettori e militanti di sinistra avevano creduto di riscontrare tracce di innovazione politica.
Forse l’eccessiva, anche se per certi versi costretta, propensione istituzional-elettoralistica della sequenza «Rete delle Reti – Alba-Cambiare Si Può- Rivoluzione Civile» scontava non solo la sottovalutazione dello scontro con le macerie della «sinistra radicale istituzionalizzata», ma soprattutto la malintesa costituzione di nuova soggettività soltanto, o eminentemente, nel riconoscimento di forza politica votata.
La maturità, il consolidamento e l’ampiezza di molte esperienze in corso richiedono ormai coordinamenti tra comitati, gruppi e movimenti locali e allargati di resistenza ecologica e antiglobalizzazione, che, insieme – invece e prima di formare partito o movimento elettorale – possono probabilmente produrre direttamente «la svolta evolutiva», il passaggio «dalla difesa all’attacco», dalle lotte di tutela di territori, luoghi, contesti, beni comuni sociali, culturali, ambientali, a scenari di autogoverno; idee progettuali di vivibilità, di contesti locali e generali: quartieri, città, regioni, fino al Paese ed oltre.
Una nuova cornice
I contenuti e le regole di tali scenari andrebbero individuati nelle proiezioni locali della Green Economy territorializzata: dal blocco del consumo di suolo e l’opposizione alle Grandi Opere inutili e dannose, infrastrutturali, energetiche, di trattamento dei rifiuti, tecnologiche, ed anche industriali, si dovrebbe tendere all’affermazione di risorse e settori del patrimonio ambientale su cui ricostruire i luoghi vivibili di una economia identitaria ed autosostenibile: paesaggio, cultura, patrimonio storico-artistico e territoriale, energie rinnovabili localizzate, visiting eco-sociale, landscape oriented smart cities; ancora, ulteriore attivazione delle filiere corte dell’agro-rurale biosostenibile, dell’alimentazione intelligente, del consumo e dell’educazione critici. Un frame che può costituire anche lo screening per le riconversioni degli apparati industriali, spesso obsoleti e inquinanti. In una parola costruire la «Politica» tramite le declinazioni sui caratteri di contesto del «territorio bene comune», e da questo derivare le «politiche», strategie per i diversi comparti ed i vari ambiti.
Corollari alla costruzione di simili scenari, che da locali possono diventare regionali, assumendo così un orizzonte politico-programmatico allargato, sono costituite dalla capacità di fare i conti con i maggiori elementi di crisi del sistema decisionale attuale: dalla necessità di separare e liberare economie e società dalla finanziarizzazione e dai suoi giochi speculativi, a quella di costruire una reale struttura istituzionale europea, che determini le politiche economiche e finanziarie invece che esserne sovradeterminata, alla ripresa più generale di apparati politico-decisionali liberi e non sottoposti ad interessi oligo e monopolistici, globalizzati e non, in ogni caso estranei a quelli delle cittadinanze coinvolte.
La costruzione di questo percorso è legata soprattutto all’azione di chi oggi sta praticando azione civile, resistenza, politica fertile dal basso: dai molti «Valsusini» d’Europa, al popolo dell’acqua, ai comitati di tutela del paesaggio, ai neoagricoltori, ai gas, agli attori del consumo critico, agli ambientalisti,alle associazioni di difesa di democrazia e diritti, a gruppi e movimenti che animano i centri sociali, spesso recuperando strutture urbane e culturali abbandonate quanto importanti.
È fortemente improbabile che i partiti di sinistra o di centrosinistra istituzionali possano fornire oggi grandi contributi a questo processo. Non le piccole formazioni, perché ormai sopravvivono a se stesse, e farebbero bene a «sciogliersi nei movimenti» (anche Sel, se si eccettua «l’eccezionale presenza» di Nichi Vendola, può rientrare in questa logica).
I Cinque Stelle costituiscono una chiara contingenza di fase, troppo carente in termini di orizzonte strategico; come appare più che mai lampante nelle uscite del leader, che si traduce tra l’altro anche in incapacità di riconoscere – tra urla ed insulti – macrotendenze decisive: per esempio, di comprendere che il consenso elettorale dello scorso febbraio conteneva una grande componente dovuta ad adesioni dell’ultimo momento, poco o punto propensa a seguire Beppe Grillo, e soprattutto ad aspettarlo «fino alla fine dei partiti tradizionali»; in impaziente attesa invece di «segnali immediati di svolta», vera o presunta, o almeno dichiarata, magari tentativamente rappresentata anche se inefficace.
Subalterni e ingenui
Il Pd è a sua volta ormai un agglomerato di camarille, tra personalismi e pseudodirigenti, spesso ridotti a lobbisti di interessi piccoli e grandi, e di soggettività troppe volte dotate di troppo scarsa cultura politica. Che spinge il partito ad atteggiamenti addirittura incoerenti anche rispetto alle istanze che più sembrano interessargli in questa fase: il mantenimento del potere decisionale ai diversi livelli. Studiassero almeno la vecchia Dc, che non avrebbe mai commesso gli errori visti dopo le elezioni, nell’elezione del Presidente della Repubblica o nella formazione dell’attuale governo. È inoltre un apparato che appare ormai «marcio» in troppe sue componenti, in quanto troppo informato e sostenuto da logiche, meccanismi, strumenti e spesso anche soggettività, responsabili della crisi attuale. Ciò che lo rende incapace di qualsiasi svolta innovativa, anche quando la sua esigenza è ormai più che evidente e matura (vedi Tav, per esempio), conseguenza anche del suo distacco eccessivo dai reali temi che agitano e colpiscono oggi il tessuto sociale. Forse in futuro, sparite quasi del tutto le attuali dirigenze, un «nuovo Pd» (o quello che sarà) potrà utilmente interagire, ed essere fertilmente contaminato, con i nuovi soggetti politici tesi a ricostruire e riprendersi il «Belpaese».
La prospezione di scenari di recupero del «Belpaese», e quindi di auto sostenibilità locale e generale, non dovrebbe comportare, né essere mirata immediatamente alla costruzione di nuove soggettività politico elettorali. Questo può derivare, costituire un esito interessante del percorso; non sempre e comunque, ma allorché e laddove se ne presentassero le condizioni favorevoli.
Obiettivo prioritario ed immediato nella contingenza dovrebbe essere quello di costruire convergenze tra soggettività già «similmente sensibili» per ricostituire tessuto sociopolitico, che è quello che manca da troppo tempo ed in troppi luoghi, e che oggi ritroviamo solo in contesti particolari. In primis in Val di Susa, dove è evidente come la lunga lotta al Tav abbia favorito la ricostituzione di una comunità sociopolitica allargata, a forte connotazione identitaria. Che pure finora preferisce condizionare e pervadere le soggettività politico-istituzionali presenti, invece che proporsi direttamente come tali; anche nelle elezioni locali. Oppure nella Messina citata in apertura, dove la vastità dell’«ombrello No Ponte» comprendeva ormai anche molte istanze in positivo di recupero urbano o di rilancio di economie ecologiche. O di realtà più piccole e più recenti, come per esempio i No Muos di Niscemi, dove mentre di difende la riserva naturale, si propone valorizzazione sociale del paesaggio.
In cerca di sostenibilità
C’è bisogno di nuovo tessuto allargato, prima che di un nuovo soggetto politico unitario, ed il salto di qualità, diffuso, integrato, «dalla difesa al progetto», può favorirlo. Prospettando gli scenari di auto sostenibilità, prima locali e poi generali, come visioni di futuro; intorno a cui aggregare strategie politiche innovative e con cui battere quelle obsolete e strumentali ad interessi estranei ai quadri sociali coinvolti. Anche quando questi sembrano incombere, determinando ed occupando le istituzioni decisionali
In definitiva è la prosecuzione della costante ricerca del «manifesto», che ha sempre cercato di interagire – e dove possibile ricucire – con strutture ed attori di una sinistra sempre più slabbrata, spesso in dissolvenza. Riuscendo anche ad individuarla e rappresentarla; fino a fornire orizzonti di prospettiva anche in molti passaggi critici apparentemente irreversibili. Azioni che potevano apparire a qualcuno come perdita di senso strategico e strutturazione politica. Laddove erano forse forme costrette dalla necessità di relazione con «frattali» situazioni fortemente problematiche e sparse.
Oggi forse è tempo di rianimare e risostanziare il campo a sinistra, prima di riassumere forme e strutture istituzionali.
il manifesto, 9/8/2013