Qui di seguito l’editoriale di oggi (30/7/2013) del il Manifesto a firma di Ugo Mattei, Alberto Lucarelli e Livio Pepino sulla persecuzione portata avanti dalla Procura Torinese a danno dei No Tav.
La “guerra preventiva”
Ancora una volta il Movimento No Tav è destinatario diattenzioni discutibili della Procura di Torino. C’eravamo abituati, fin dai tempi della campagna avviata nel gennaio del 2012 con la richiesta di misure cautelari per gli scontri del giugno-luglio precedente finanche nei confronti di incensurati. Ma negli ultimi mesi è stato un crescendo di iniziative oltre ogni logica, in evidente parallelismo con il cambio di strategia delle “forze dell’ordine”, passata da una (già assai dura) attività di contenimento degli attacchi al cantiere della Maddalena a una vera e propria guerra preventiva con anticipazione dello scontro (sotto l’occhio vigile dei pubblici ministeri accorsi sul posto…) prima ancora dell’avvicinamento dei manifestanti al cantiere (in una prospettiva che ricorda in modo sinistro i metodi diMinority Report).
Gli esempi sono molti: l’apertura di un procedimento per “procurato allarme” nei confronti del presidente di Pro Natura Piemonte e dei responsabili di altre associazioni ambientaliste per avere diffuso un documento-denuncia su comportamenti ritenuti irregolari nella realizzazione del cantiere della Maddalena, in particolare in punto mancata installazione di reti paramassi su un versante di frana conclamata; l’incriminazione del responsabile dell’Ufficio Tecnico del Comune di Chiomonte per “false comunicazioni al pubblico ministero”, intervenuta (secondo la cronaca del ben informato cronista dellaStampa) all’esito di un interrogatorio di sette ore teso a chiarire chi lo avrebbe indotto a emettere un’ingiunzione di abbattimento delle reti di protezione del cantiere della Maddalena, non rappresentate su nessun elaborato progettuale e quindi, sotto il profilo edilizio, abusive (sic!); la perquisizione disposta nel giugno 2013 nei confronti di quattro attivisti No Tav indagati nientemeno che per il reato di stalking in relazione a minacce subite da un operaio di una ditta impegnata nei lavori al cantiere della Maddalena in cui, alla singolarità della contestazione, si accompagna la apodittica motivazione che «tutti gli episodi di cui è stato fatto oggetto sono da ricondurre ad un’unitaria regia da individuare nell’ambito di soggetti che si riconoscono nella lotta alla realizzazione della suddetta linea ferroviaria, in particolare in tutti quelli che si identificano nell’ala violenta del movimento No Tav».
Ma la notte scorsa si è realizzato un salto di livello di gravità inaudita. Sono state, infatti, disposte ed effettuate dodici perquisizioni domiciliari nei confronti di attivisti No Tav (della Valle e di Torino) contestualmente indagati, con riferimento agli scontri della Maddalena del 10 luglio scorso, di “attentato per finalità terroristiche o di eversione dell’ordine democratico” ai sensi dell’art. 280 codice penale, che punisce con pene fino a venti anni di carcere chi, per le finalità anzidette, “attenta alla vita od alla incolumità di una persona”. Proprio così, anche se c’è da non crederci. E l’incredulità aumenta se si dà un semplice sguardo al contesto normativo e alla giurisprudenza della cassazione sul punto: «Sono considerate con finalità di terrorismo le condotte che, per la loro natura o contesto, possono arrecare grave danno ad un Paese o ad un’organizzazione internazionale e sono compiute allo scopo di intimidire la popolazione o costringere i poteri pubblici o un’organizzazione internazionale a compiere o astenersi dal compiere un qualsiasi atto o destabilizzare o distruggere le strutture politiche fondamentali, costituzionali, economiche e sociali di un Paese o di un’organizzazione internazionale, nonché le altre condotte definite terroristiche o commesse con finalità di terrorismo da convenzioni o altre norme di diritto internazionale vincolanti per l’Italia (art. 270 sexies codice penale); «La nozione di “eversione dell’ordine democratico” deve intendersi riferita all’ordinamento costituzionale, cioè a quei principi fondamentali che formano il nucleo intangibile destinato a contrassegnare la specie di organizzazione statale, secondo la Costituzione; di conseguenza, essa non può essere limitata al solo concetto di “azione politica violenta”, ma deve necessariamente identificarsi nel sovvertimento dell’assetto costituzionale esistente ovvero nell’uso di ogni mezzo di lotta politica che tenda a rovesciare il sistema democratico previsto dalla Costituzione nella disarticolazione delle strutture dello Stato o, ancora, nella deviazione dai principi fondamentali che lo governano» (Cass. – sez. 2, n. 39504 del 17 settembre 2008). Davvero qualcuno può seriamente pensare che gli “attacchi” al cantiere della Maddalena abbiano qualcosa a che vedere con fattispecie e finalità siffatte? Eppure le contestazioni sono state fatte e i procedimenti aperti.
Nessuno chiede impunità a prescindere. I reati commessi vanno perseguiti. Ma il rigore nelle contestazioni e il senso delle proporzioni sono parte integrante di un diritto penale garantista e coerente con la Costituzione. Discostarsi da questa strada è un pericolo per tutti. Anche per questo la Val Susa è un caso nazionale.
Alberto Lucarelli, Ugo Mattei, Livio Pepino