Ho costruito una “riflessione a tesi” montando stralci di tre importanti interventi scritti da Fausto Bertinotti, Marco Revelli, Guido Viale, apparsi in questo mese di maggio. Andrebbero letti tutti per intero, per la ricchezza delle analisi, delle ipotesi e delle proposte. Ma di quegli interventi ho provato a mettere insieme brandelli utili a sviluppare un percorso di ricerca “attuale”, che non si esaurisca nella costruzione di un cartello o di un programma elettorale. Ma sappia aprire le porte ad una discussione collettiva che mi piace pensare aperta, senza confini e includente. Un confronto da aprire oggi per ricominciare domani.
marco sansoè
1. Oltre le elezioni politiche
Le elezioni in Italia sono giunte a una drastica discontinuità con tutta la loro storia del dopoguerra. Per la sinistra esse oggi non sono più agibili né univocamente, rispetto a un progetto politico, né unitariamente. La sinistra, per non essere risucchiata in un meccanismo alienante e debilitante, deve avere la lucidità politica di prendere le distanze, anche emotivamente, dalle elezioni politiche nazionali (altro è il caso di quelle locali e, secondo le condizioni che si determinino, di quelle europee).
L’appuntamento elettorale deve quindi essere relativizzato nell’agire politico di chi voglia ricostruire la sinistra. L’appuntamento deve essere relativizzato nelle attese e nell’investimento politico di ognuno. Tanto che quando vengano a mancare le condizioni per una presenza forte della sinistra di alternativa converrà disporsi a saltare un giro. Ma andrebbe anche relativizzata la scelta tra le diverse possibili opzioni elettorali. Sarebbe bene che il processo di costruzione della coalizione sociale, che è la priorità, giungesse ad un punto nel quale da quest’ultima, per natura estranea alla contesa, venisse un’indicazione, almeno prevalente, di voto. In ogni caso sarebbe utile cominciare a riflettere su un’ampia gamma di possibilità entro cui poter scegliere, di volta in volta, di elezione in elezione, secondo un criterio di efficacia rispetto alla crescita di sé come soggetto politico (se in costruzione) e comunque rispetto alla coalizione sociale in formazione. Nulla andrebbe escluso in nome di pregiudizi derivati dalla storia, ormai conclusa, del dopoguerra italiano.
Solo ai fini di ricordare le molte possibilità che si aprirebbero in questa logica, basti pensare a che si potrebbero affrontare allora le elezioni con una campagna per l’astensione attiva, oppure con il voto a favore di una presenza elettorale autonoma in nome della costruzione di un soggetto politico, oppure con un voto “entrista” a favore di candidati “di movimento” in partiti altro da te, oppure con una modalità da lobby democratica e altro che ancora si possa inventare.
Il punto di discussione che, credo, non si può più saltare è se è giunto o no il momento, per una sinistra politica che si voglia ricostruire, di cambiare radicalmente l’atteggiamento rispetto alle elezioni: la mia risposta è che sì, e che questa scelta è indispensabile ai fini dell’impresa stessa di costruire il nuovo soggetto politico. (Fausto Bertinotti, Le elezioni non sono la soluzione. La sinistra è il problema in Alternative per il socialismo n.26, maggio-giugno 2013)
2. La crisi irreversibile del PD
Meglio sarebbe riconoscere realisticamente che quella del Pd è una crisi irreversibile. Che la fine di quel partito sarà probabilmente lunga, senza Big bang ma anche senza punti di ripristino o di ritorno. Troppo ampia la parte del suo immaginario e della stessa coscienza morale «colonizzata» dal modo di essere e di pensare dell’avversario, come è emerso alla superficie nei giorni neri dell’elezione del presidente e nella facilità, per alcuni voluttà, con cui è avvenuta la coincidentia oppositorum nella ibrida compagine governativa. Troppo evidente l’assenza di un pur minimo denominatore comune in termini di cultura politica. Troppo logorata la sua classe dirigente, sempre più impegnata a difendere l’indifendibile.
So benissimo che un quadro siffatto atterrisce. Conosco perfettamente, perché lo provo ogni giorno, il senso di vertigine tipico dell’horror vacui, tanto più se consideriamo l’effetto congiunto della crisi istituzionale e di quella economica e sociale che vi si intreccia con bagliori weimariani. Ma proprio per questo resto convinto che se un’alternativa si vuole creare, in fretta, nella profondità della crisi italiana, questa non potrà essere ripensata che “lontano da Bisanzio”. (Marco Revelli, La politica rinasce “lontana da Bisanzio” in il manifesto, 21/5/2013)
3. Verso un soggetto politico nuovo
Ma c’è la possibilità ora di definire i lineamenti di questo soggetto? So bene quanto lungo e difficile sia il cammino che ci si dovrebbe proporre. Ma non credo affatto che sia impossibile. Né che sia impossibile definirne la base di partenza (l’aggettivo da dare a questa sinistra). Credo si potrebbe già dire di più, ma comunque basterebbe il montaliano «ciò che non siamo, ciò che non vogliamo». L’uno e l’altro potrebbero già essere detti con chiarezza e credo sarebbero sufficienti per cominciare con un “noi” Ma, diranno altri, i tempi per l’impresa sono tremendi e le devastazioni intervenute nel nostro campo pure. Del resto non abbiamo certo mancato noi stessi di dare conto, anche in questa sede. Ma “esiste sempre un’altra possibilità”.
Per gli amanti di Ken Loach vale il ricordo dell’insegnamento di Erie Cantona ne Il mio amico Eric. Per coglierla, l’altra possibilità, bisogna però battere una strada altrimenti sconosciuta: «Per sorprendere gli altri, bisogna prima sorprendere se stessi». «Alza il colletto e guarda lontano». Se poi si è diffidenti nei confronti di messaggi di genere così profano, conviene allora prenderla alta. In una lettera al fratello, Antonio Granisci ci indica una strada oggi proprio per noi, quelli della sinistra da reinventare, particolarmente necessaria e utile. Nella lettera al fratello Carlo, Gramsci racconta della durissima e drammatica esperienza di vita a cui, per studiare, è stato costretto: «Mi sono trovato in condizioni terribili», scrive. La lezione che Antonio Granisci trae dall’esperienza è un insegnamento di vita e di politica generale: «Mi sono convinto che, anche quando tutto è o pare perduto, bisogna rimettersi tranquillamente all’opera, ricominciando dall’inizio». Pare scritto oggi per chi pensi che si debba ricostruire, in Europa e da noi, un nuovo soggetto politico della sinistra. (Fausto Bertinotti, Le elezioni non sono la soluzione. La sinistra è il problema in Alternative per il socialismo n.26, maggio-giugno 2013)
Se un cantiere si vorrà aprire, non potrà nascere che «fuori dalle mura» di quel mondo crollato, con altri linguaggi, altre facce, altri stili politici, diversi da quelli ormai frusti delle troppe sinistre fallite, chiamando a raccolta quanti – e sono tanti – hanno deciso di guardare avanti: in uno «spazio politico» in cui, prima di contare e di contarsi, ci si impegni a pensare e a pensarsi, senza più illudersi della possibilità di procedere per assemblaggio degli eterogenei frammenti prodotti dal crollo (a cominciare da quelli che hanno fatto naufragare nel minoritarismo l’esperienza di «Cambiare si può»). Né di attaccarsi al carro di qualche improbabile capo-corrente.
Tirar fuori questo paese dal buco nero in cui sta velocemente affondando richiederà un’energia politica straordinaria, che coincide con un’altrettanto straordinaria mobilitazione morale e culturale: con la necessità di ripensare alle radici un modello economico e sociale alternativo tanto al neo-liberismo fallito quanto al keynesismo social-democratico estinto col Novecento e, contemporaneamente, di rianimare un’idea di democrazia capace di sopravvivere alla crisi dei suoi tradizionali soggetti politici e alle troppe tentazioni presidenzialiste che emergono dal brodo tossico della personalizzazione della politica.
Tanto vale incominciare subito, chiamando a raccolta le migliori risorse intellettuali, morali e sociali, a cominciare da quelle che Landini ha portato in piazza sabato scorso a Roma. Senza più deleghe. Né dilazioni. (Marco Revelli, La politica rinasce “lontana da Bisanzio” in il manifesto, 21/5/2013)
4. I soggetti di un programma alternativo
Ma per opporsi all’azzeramento della sovranità popolare non basta restituire al Parlamento quei poteri che i partiti non vogliono né usare né difendere. All’accentramento dei poteri va contrapposto, in tutti i paesi d’Europa, il progetto di un loro radicale decentramento: un governo dei territori, dei servizi pubblici e delle imprese basato sulla democrazia partecipata promossa dalla componente attiva della cittadinanza in un regime di trasparenza e leggibilità dei bilanci assolute.
Per recuperare e potenziare quelle funzioni delle Municipalità che i patti di stabilità stanno soffocando. Ma se è chiaro quali sono le forze che lavorano per l’esautoramento della sovranità popolare, dove sono mai «i soggetti» in grado di elaborare, perseguire e portare a compimento un programma alternativo?
Quei soggetti non ci sono. Vanno costruiti. Ma senza distogliersi dai loro obiettivi specifici, le potenzialità dei movimenti, dei comitati, delle associazioni, delle iniziative civiche – ma anche e soprattutto quelle dei milioni di cittadini che in Italia espresso con il voto la volontà di liberarsi di Monti e Berlusconi – possono trovare una convergenza nel progetto di imporre alle rispettive amministrazioni comunali – alle poche disponibili, ma soprattutto alle molte che non lo sono – quel ruolo peculiare che le politiche di accentramento stanno azzerando: far saltare il patto di stabilità interno; quello che impedisce ai Comuni di far fronte ai propri compiti istituzionali, ma soprattutto che inibisce loro la possibilità di farsi promotori di una radicale conversione ecologica imperniata su un potere diffuso nei territori. Un passo irrinunciabile per costruire un’alternativa concreta al potere della finanza a livello locale, nazionale ed europeo. (Guido Viale, Sovvertire il presente in il manifesto, 8/5/2013)
5. Per il programma: far saltare i vincoli economici
Per invertire quel processo occorre far saltare i vincoli che inchiodano le politiche economiche e sociali dei governi europei agli interessi dell’alta finanza: i patti di stabilità esterno e interno; il fiscal compact; il pareggio di bilancio; il taglio di spesa pubblica e pensioni; la privatizzazione dei beni comuni e dei servizi pubblici; la diffusione del lavoro precario. Ripudiare quei vincoli richiede un programma di respiro generale che unisce a livello europeo; che può e deve contare su tutte le rivolte e le mobilitazioni contro i vincoli del debito che da tempo si moltiplicano in un numero crescente di paesi, o che prima o poi esploderanno. (Guido Viale, Sovvertire il presente in il manifesto, 8/5/2013)
6. Per il programma: perseguire un sovvertimento
Non è vero che «non ci sono i soldi» per politiche di promozione dell’occupazione, di sostegno dei redditi, di riconversione delle imprese, di salvaguardia del welfare e dell’ambiente. Nel mondo, di denaro o titoli equivalenti ce ne è anche troppo: oltre dieci volte il valore del Pil mondiale; e anche in Italia non manca di certo. Ma è nelle mani sbagliate: di speculatori che lo usano per metter alle corde lavoratori, amministrazioni locali, piccole e medie imprese e governi. Con quella massa immane di denaro l’alta finanza – che è ormai mera speculazione: fare denaro con il denaro a spese di chi non ne ha – impone la sua volontà ovunque. Ma tutto quel denaro è «solo» virtuale: funziona finché gli stati gli riconoscono un valore; in fin dei conti non è che una gigantesca «bolla finanziaria» creata nel corso degli anni e tenuta in piedi – fin che dura – dalle scelte operate da banche centrali, governi e parlamenti asserviti alla sua potenza. Come si è creata può essere sgonfiata e ricondotta alle dimensioni necessarie ad alimentare il credito e i redditi che fanno circolare beni e servizi sui mercati.
Ma per perseguire un sovvertimento del genere occorre un programma che renda praticabile un diverso modo di organizzare il lavoro, le imprese, l’amministrazione pubblica e i consumi: il nostro «stile di vita». Questo programma è il recupero della sovranità all’interno di ogni territorio non solo in termini politici, ma anche in campo economico: sovranità alimentare (filiera corta per le produzioni agroalimentari); energetica (fonti rinnovabili ed efficienza energetica); nella gestione delle risorse (soprattutto di ciò che oggi bistrattiamo come rifiuti); sui suoli (sottratti a speculazione edilizia e infrastrutture devastanti); monetaria (controllo partecipato di banche e monete locali); e, ovunque possibile, anche sulla produzione industriale (filiere corte con accordi diretti tra produttori e consumatori associati). In tutti questi campi il ruolo promozionale di una municipalità democratica e partecipata è fondamentale.
Utopia? I prossimi anni non saranno la prosecuzione di quelli che abbiamo alle spalle. Siamo ormai in mezzo a sconvolgimenti radicali; e altri, anche maggiori, sono in arrivo. O li affrontiamo con uno sguardo capace di vedere oltre le miserie del presente, o ne rimarremo soffocati. (Guido Viale, Sovvertire il presente in il manifesto, 8/5/2013)