Un sistema produttivo obsoleto
Dal 2000 al 2009 la produttività del lavoro in Italia è diminuita dello 0,5% ogni anno, impresa mai riuscita in un paese a capitalismo avanzato fino ad oggi. Gli occupati italiani lavorano di più dei colleghi europei, ma producono il 25% in meno dei tedeschi e il 40% in meno dei francesi.
La disoccupazione
L’occupazione è crollata di 1 milione e 700 mila unità dal 2008, abbattendosi con particolare violenza sui giovani tra i 15 e i 24 anni, il 41,7% dei quali è disoccupato (con punte di oltre il 50% a Sud).
Impoverimento generalizzato tra i pensionati e tra i bambini.
Nel 2011 i bambini da 0 a 2 anni che avevano la possibilità di frequentare un asilo nido non superavano l’11,8% (era il 3% nel 2004).
Su un totale di 16,7 milioni di pensionati, quasi 8 milioni percepiscono una pensione inferiore a 1000 euro al mese; oltre 2 milioni non arrivano a 500.
I lavoratori precari
Un esercito di 3.315.580 milioni di persone, più di 500.000 delle quali lavorano per lo Stato, il più grande sfruttatore di lavoro precario al mondo.
Il reddito di queste persone è di 927 euro mensili per i maschi e 759 euro per le donne. Queste cifre sono utili per dare un’idea della povertà dilagante nel nostro paese.
Questo processo è destinato a durare a lungo. L’Italia, come anche Francia, Spagna, Grecia o Portogallo, ha approvato nella loro costituzione l’impegno a ridurre il debito sovrano dall’attuale 130% al 60% sul Pil. Ciò porterà alla dismissione del patrimonio pubblico e alle liberalizzazioni, tagli alla spesa e altre misure che dovranno «risparmiare» 50 miliardi di euro all’anno per i prossimi venti anni. Fondi che alimenteranno la bolla degli interessi sul debito e non andranno in investimenti.
Le banche nella crisi
Mille miliardi di euro prestati dalla Banca Centrale Europea alle banche europee al tasso d’interesse irrisorio dell’1%.
Le banche italiane hanno ottenuto 200 miliardi. Di questa montagna di denaro fresco solo il 5% delle persone sopra i 15 anni ha ottenuto un prestito negli ultimi dodici mesi, a fronte di una media europea del 13%.
Questo significa che il nostro paese fluttua in una bolla finanziaria che espropria la ricchezza alle persone, non libera risorse verso il basso, ma le accumula in un forziere chiuso a doppia mandata da cui esce solo qualche centesimo.
La disuguaglianza sociale.
Il reddito di uno dei 38 mila «straricchi» (lo 0,1% più ricco in Italia) vale oggi quello di cento poveri. Il 10% delle famiglie più ricche possiede quasi il 45% della ricchezza totale, mentre riceve il 27% dei redditi. Il 50% delle famiglie più povere dispone di appena il 10% della ricchezza totale.
Il futuro delle politiche sociali
L’obiettivo finale della lotta di classe è farla finita con il “modello sociale europeo”, quello del Welfare, già dichiarato morto da Draghi.
Il taglio del 90% alle politiche sociali tra il 2010 e il 2012 sono passate da 435 milioni di euro a 43 milioni, mentre i fondi per scuola e università sono stati tagliati di 10 miliardi. Entro il 2015 la sanità subirà 30 miliardi di tagli.
Che fare? Quattro priorità
Per uscire dalla «guerra dei trent’anni» del liberismo contro il Welfare, gli autori del «rapporto sui diritti globali 2013» indicano quattro priorità:
- ripristinare la partecipazione democratica e il ruolo del pubblico nell’economia;
- affiancare alla crescita della produttività e dell’efficienza economica il benessere delle persone, l’equità e l’uguaglianza in direzione di una maggiore sostenibilità sociale e ambientale;
- indirizzare la crescita economica verso lo sviluppo di nuove attività ad alta intensità di conoscenza, favorendo l’occupazione stabile e sanzionando il ricorso delle imprese (e dello Stato) alla precarietà dei giovani e dei meno giovani;
- consolidare la partecipazione della società civile, non profit e delle mobilitazioni sociali elaborando nuovi strumenti di intervento nell’economia e nella società.
La centralità delle politiche «anti-austerity» dev’essere quella della ridistribuzione delle ricchezze, favorita da una riforma fiscale che colpisca il dominio economico esercitato dal 10% della popolazione più ricca.
Particolare attenzione viene prestata al rilancio del reddito di cittadinanza, e non del salario minino. Si chiede l’introduzione di una misura universalistica necessaria per rimediare all’esclusione sociale fatta di lavori poveri, intermittenti, precari e di non lavoro.
da Roberto Ciccarelli, il manifesto, 5/6/13