E’ morto Enzo Jannacci. Era malato da tempo. La notizia non sorprende ma il vuoto che lascia è abissale.
Forse è difficile per chi non è milanese capire fino in fondo Jannacci. Probabilmente è stato il più grande. L’unico che ha saputo cantare la dimensione urbana, la Milano operaia, quella delle periferie, quella della piccola ligera (in milanese malavita), quella degli emarginati, del non sense, cioè di quella particolare ironia surreale che nasce nel cuore di chi abita in una città che si avvolge nella nebbia, la Milano delle osterie, delle piccole meschinità di un popolo che amo, del fascino ingenuo delle macchinismo e della fabbrica, come luogo della fatica e allo stesso tempo della sicurezza del proprio futuro. Ricordate “Vincenzina davanti alla fabbrica” una delle canzoni più belle che siano mai state scritte. Il cantore di un mondo che non c’è più.
E quando ti telefonavo Enzo, per invitarti a cantare rigorosamente a gratis alle feste del Movimento lavoratori per il Socialismo, dopo che ci incontrammo per la prima volta di notte a un picchetto davanti a una piccola fabbrica metalmeccanica davanti a un falò, sembrava sempre che ti svegliassi, qualunque fosse l’ora. E tu cominciavi a spiegarmi come era fatto il mondo, e come andava male, e come cazzo, insomma si sarebbe potuto, no, capisci, dovuto, se fossimo d’accordo ecco… Poi alla festa non saresti venuto perchè avevi le prove, o una registrazione o non ti girava. Ma nella mia testa continuavano a girare le tue parole. Ci riconoscevo dentro la vita di mio padre, che lavorava la notte in piazza Cavour, operaio nella tipografia dove si stampavano tutti i giornali, di destra e di sinistra, e spesso, sempre più spesso mi toccava andarlo a prendere all’osteria ( ora al suo posto c’è un orefice) perché da solo non sarebbe mai tornato a casa.
E quando ti vidi per la prima volta nella Tv in bianco e nero, presentato da Mike Bongiorno, cantare “El purtava i scarp de tennis” mio padre era già morto da cinque anni, ma era come se me lo vedessi davanti, perchè lui se di notte ubriaco fosse tornato a casa da solo e avesse visto un “barbone” sotto un mucchio di cartoni si sarebbe fermato, avrebbe cercato di svegliarlo per offrigli qualcosa da bere. L’indifferenza, lui come te, non sapeva cos’era, perchè tu Enzo odiavi gli indifferenti.
Te se andaa via. Ciao.
Alfonso Gianni