Auguri per l’anno che verrà, che non credo potrà essere migliore di quello appena passato (sono troppe le implicazioni internazionali, troppe le strutturali difficoltà nazionali).
Auguri, soprattutto, ai disoccupati e ai precari, perché sono quelli che continueranno a pagare il prezzo più alto; auguri ai lavoratori dipendenti e alla maggior parte dei pensionati, perché non c’è stato nessuno aumento o rivalutazione dei salari, degli stipendi e delle pensioni da molti anni; auguri a tutti quelli che hanno i contratti e gli scatti di anzianità bloccati da anni; auguri a quelli che hanno bisogno dell’assistenza e delle cure che “il sistema non può più garantire”; auguri a quelli che avrebbero potuto andare in pensione ma che non possono più andarci; auguri ai cittadini che pagheranno più cari i trasporti pubblici, i rifiuti e i servizi perché gli Enti locali vendono o cedono quote pubbliche ai privati per fare cassa e rispettare “il patto di stabilità”; auguri alle donne che subiscono violenza da mariti e amanti possessivi, deboli e insoddisfatti…
Ma verso l’anno che verrà nutro sentimenti contrapposti: da una parte spero che finisca il più presto possibile, dall’altra vorrei che durasse perché potrebbe diventare l’occasione per dare inizio ad un profondo cambiamento. Di questo abbiamo bisogno! .…e non capisco perché tante persone intelligenti e sensibili (tanti/e amici/che) si attardino e non colgano che questa è un’occasione speciale, questa è una di quelle situazioni nella quale si assiste a una crisi profonda che è economica (una crisi strutturale del capitalismo?) e politica (una crisi della democrazia?).
Da crisi di questo tipo non si esce provando a governarla perché è già solidamente governata dalle regole internazionali dettate dal Fondo Monetario, dalla Banca Mondiale e dalla Banca Europea. Sta già accadendo da anni ai paesi africani e sudamericani: noi abbiamo imposto quelle regole, ora le dobbiamo subire (è la globalizzazione!).
Quello che possiamo fare è opporci alla loro applicazione certa e generalizzata (gettare sabbia negli ingranaggi) e aprire strade alternative: ci vuole tempo, occorre il rigore della ricerca e la pazienza della progettualità che si fa proposta alternativa!
Ma la profondità della crisi della politica svela la crisi definitiva della forma-partito, che appare sempre di più esclusivamente luogo della mediazione e della delega; e mostra la sua forza nella partecipazione quantitativa all’atto della delega e qui si arresta. Come fare a non capire che è urgente ridefinire la democrazia? come indugiare ancora sulla convinzione che la politica sia la pratica del potere? come non capire che ciò che serve oggi è avviare un percorso di uscita dalla democrazia rappresentativa per dare vita alla democrazia partecipata?
Mai come adesso è possibile mettere insieme i frantumati soggetti sociali che percorrono i territori della terra (e dell’Italia) alla ricerca del rispetto dei bisogni e degli spazi sui quali questi bisogni si formano: i beni comuni; mai come adesso è possibile costruire fronti di resistenza alla liquidazione dello stato sociale e dei diritti di chi lavora, ha lavorato o vorrebbe lavorare! Ora possiamo mettere insieme il movimento dei movimenti e costruire, dal basso, percorsi di democrazia partecipata capace di diventare autogoverno. I tempi saranno lunghi, ma il momento è questo!
Un altro mondo è possibile, a questo vanno gli Auguri per l’anno che verrà !!!
marco sansoè