Non dedicheremmo molta attenzione alla prossima scadenza elettorale, convinti come siamo che la politica si pratichi altrove, nei luoghi della produzione, del consumo, nei territori, …nella costruzione di un processo di superamento della delega rappresentativa e di assunzione di un concreto ruolo diretto di autodeterminazione dei bisogni collettivi.
Le elezioni sono solo elezioni, nel senso che la “politica buona” si fa altrove. Ma esse hanno un peso notevole nelle aspettative della gente. Per questo l’alternativa non è tra partecipare o non farlo, urgente è attribuire il peso relativo che hanno le elezioni, con la consapevolezza del ruolo che rivestono in questo momento.
Chiunque governi dovrà rispondere, per i prossimi 10 anni, ai vincoli economici dettati dal Fondo monetario e dall’Europa. Come scrive Revelli “Sia che si debba sottostare esplicitamente all’accettazione del famigerato Memorandum, o che a ogni riunione dell’Eurogruppo si sia obbligati a portare sul tavolo una nuova offerta sacrificale, è certo che le linee guida nel campo delle politiche sociali nel prossimo quinquennio resteranno quelle seguite dal governo Monti in questo primo squarcio di 2012, con un ulteriore incrudelimento dettato da un’emergenza permanente.”, che significherà: bilancio dello stato bloccato, privatizzazioni e libertà totale per l’impresa in tema di salari e mercato del lavoro, in poche parole aumento delle disuguaglianze, diminuzione della qualità della vita.
Governare non significherà quindi solo aderire, anche contro voglia, alle politiche neoliberiste, ma farsi partecipi della scelta di peggioramento delle condizioni di vita dei lavoratori dipendenti e del ceto medio impoverito, oltre ad un ulteriore significativo degrado dell’assetto del territorio, della qualità dei servizi e presumibilmente di riduzione dei diritti.
Oggi partecipare alle elezioni può essere necessario solo all’interno di una prospettiva di medio periodo che abbracci i prossimi 10 anni, per costruire una opposizione sociale e parlamentare che possa poi governare costruendo l’alternativa.
Qualsiasi altra strada è illusoria se crede di aprire contraddizioni all’interno del PD. Questo partito ha già scelto di aderire alle politiche economiche compatibili con le grandi scelte globali. Privatizzazioni, lavoro, scuola, territorio e diritti: quali scelte ha compiuto in questi anni il PD che andassero verso una rimessa in discussione della centralità del mercato, dell’impresa e del “pensiero unico” neoliberale? Ha già scelto prima di appoggiare il governo Monti, con l’emergenza questa scelta si è rafforzata.
Qualsiasi altra strada diversa dall’opposizione diventa parte della deriva politica e istituzionale moderata che seguirà dopo l’appoggio al governo Monti
Oggi farsi eleggere per andare al governo significa togliere speranze a quel pezzo di società che vive drammaticamente la crisi della politica, dei partiti, della rappresentanza e paga ancora le politiche concertative dai sindacati.
Farsi eleggere oggi in Parlamento senza passare dall’opposizione significa togliere ulteriori speranze ai disoccupati, ai precari e ai lavoratori e favorire l’idea che non siano possibili politiche alternative a quelle dei poteri forti economico-finanziari, che non sia possibile nemmeno resistergli.
Usare il PD per farsi eleggere in Parlamento vuol dire farsi usare dal PD per fornirgli un alibi a sinistra, per aiutarlo a “sopravvivere” e quindi ritardare la crisi di quella cultura moderata, …e forse essere destinati a divenire la nuova sinistra del PD.
Farsi eleggere con il PD per andare al governo è un gioco ambiguo che ha il sapore delle derive “politiciste”, quelle che non ci saremmo aspettate da chi ha lavorato con i movimenti. Per portare in parlamento un pugno di “ragazzi”, cresciuti esclusivamente nella “politica”, Sel rischia la scomparsa come partito, e questo non sarebbe grave, ma assisteremmo anche, per il momento, alla dissoluzione degli elementi culturali laici, libertari e antiautoritari di cui è stata portatrice, e questo ci dispiace!
Biella, settembre 2012
marco sansoè