Nuovi Partigiani della Pace
Sez. “Giorgio Caralli”
BIELLA
Desideriamo esprimere una posizione critica nei confronti della parata militare che si è svolta lo scorso 5 novembre e della rappresentazione mediatica che ne è stata data.
E’ stato principalmente un tentativo di legittimazione popolare della guerra in corso in Afghanistan e della guerra in generale, ammantandola di nazionalismo e di patriottismo, coinvolgendo addirittura le scolaresche nella celebrazione; il tentativo di introiettare la guerra come una componente della nostra vita civile e democratica, cambiandone il nome con eufemismi come “missione di pace” o addirittura ossimori come “guerra umanitaria”.
Un tentativo da parte di quasi tutte le forze politiche presenti in Parlamento di spostare il cardine della simbologia dell’unità nazionale dal 25 aprile – momento di liberazione e di unità popolare, di vero tentativo di democrazia – al 4 novembre, data della fine di una guerra nazionalista tragica e anti-popolare, che attua di fatto uno svuotamento dei principi costituzionali.
Una guerra, come tutte le guerre, che a Costituzione vigente l’Italia “ripudia come mezzo di offesa degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali” da oltre 60 anni.
L’Italia non si trova in Afghanistan in missione di pace, si trova lì per essersi accodata ad un intervento unilaterale degli USA, che hanno invaso un paese sovrano, per scopi ed interessi preesistenti all’11 settembre.
Il riferimento alla missione di pace è sconfessato oramai da tutti, ministro della Difesa compreso, eppure si continua a giocare sull’equivoco.
L’Italia in Afghanistan persegue obiettivi strategici, politici ed economici della Nato e degli Usa, ed i suoi soldati sono costretti a combattere, come dimostrano i morti ed il continuo incremento di mezzi e di uomini che vengono richiesti nel paese. All’indomani della nostra parata del 5 novembre il ministro della difesa ha annunciato l’invio in Afghanistan di altri 200 uomini.
Ma sui mezzi di informazione più seguiti la rappresentazione data è quella della “missione di pace”, come se fosse possibile per un esercito straniero in un paese occupato estraniarsi dalla guerra in corso e perseguire solo una nobile ed umanitaria attività di aiuto ad una popolazione stremata da decenni di guerre.
Il mito degli “italiani brava gente” si infrange e viene fagocitato dall’esigenza di rispettare gli impegni militari che vengono richiesti da chi conduce di fatto la guerra, ossia gli USA.
Gli elogi dei generali americani ai nostri soldati, che periodicamente la stampa si preoccupa di farci conoscere, non sono per le loro qualità di umanità e di altruismo, ma per le loro qualità militari; i soldati, bisognerebbe sempre ricordarlo anche se può turbare le coscienze, per loro natura sono addestrati ad uccidere.
La situazione attuale della guerra in Afghanistan inoltre è di pura stagnazione con una chiara offensiva delle forze afghane non allineate alla NATO in un rapporto che fa veramente pensare allo schema invasori-resistenti.
Basterebbe conoscere la Storia per capire che l’Afghanistan è una palude, lo è stata per la Gran Bretagna nell’800, per i sovietici negli anni 80, lo è oggi per l’Italia e la Nato.
Ma questa guerra, la sua celebrazione nel biellese e la rappresentazione che ne è stata data dai mezzi di comunicazione, serve tanto a sdoganare una volta per tutte quello che per 60 anni era stato – sull’onda dell’emozione e dello sdegno per la catastrofe della 2^ guerra mondiale – un tabù, ma soprattutto, nel momento del trionfo dell’ideologia capitalistica, a far passare il concetto che si possa intervenire militarmente in ogni luogo della terra, ovunque dove ci sia un interesse politico, economico, militare da salvaguardare per l’Occidente.
E la rappresentazione mediatica di questa guerra è doppiamente fuorviante, in quanto da un lato nasconde i veri scopi della guerra, che non sono umanitari ma economici ecc., e dall’altra nasconde i risvolti sociali dell’impiego quasi indiscriminato di risorse pubbliche destinate alle spese militari, sottraendole allo stato sociale, ossia alla scuola, alla sanità, alle pensioni, al lavoro.
Riteniamo quindi che l’esercito e l’utilizzo al di fuori della Costituzione che ne viene fatto, non sia il punto di incontro tra popolo e nazione, come si vorrebbe dimostrare, ad esempio mostrando o cercando di dimostrare la fusione tra biellesi e militari.
Gli alpini dell’ANA affratellati agli odierni alpini di professione non sono credibili se li si guarda con razionalità. L’esperienza degli uni, alpini di leva, spesso costretti ad un dovere pesante ed accettato con fatica, è molto diversa da quella degli altri, soldati per scelta e spesso, purtroppo, per bisogno.
Ed è infine sconfortante vedere i bambini delle scuole portati per strada a celebrare il ritorno da una guerra, anche se la si imbelletta e la si chiama “missione di pace”. E’ davvero paradossale che si possa pensare di educare alla pace i bambini portandoli alle parate militari, tanto più se si pensa allo smantellamento in atto della scuola pubblica, che rende sempre più difficoltoso il percorso di formazione educativa dei bambini anche attraverso la riduzione del numero degli insegnanti ed conseguente loro progressivo aumento dei carichi di lavoro.
Tra i tentativi di accreditare l’accettazione popolare della guerra, le recenti proposte del governo nazionale di premiare le famiglie che hanno figli a scapito delle altre, di foraggiare le scuole private e confessionali a scapito della scuola pubblica, sembra proprio che il mito di “Dio, patria e famiglia” non tramonti mai.
Nuovi partigiani della pace – Sezione “G. Caralli” – Biella, presso Arci,Via della fornace 7, Biella