Le richieste del “Social Forum delle Americhe”.

Difendere la madre terra per difendere i diritti umani     di Elvira Corona

Con gli interventi dei presidenti Latinoamericani Fernando Lugo, Evo Morales e Pepe Mujuca si è chiuso il IV Social Forum delle Americhe, svoltosi nella capitale paraguayana di Asunciòn dall’11 al 15 agosto. Come previsto quest’anno non c’è stato un unico appuntamento – che da ormai 10 edizioni si contrappone al Forum economico di Davos – ma una serie di eventi in varie parti del mondo e durante tutto l’anno.

Circa 10mila partecipanti, tra esponenti di movimenti della società civile e difensori dei diritti umani provenienti da diversi paesi si sono dati appuntamento ad Asunciòn per scambiare esperienze e proporre nuove strategie per un altro mondo possibile, partendo da un’altra America possibile. “La nostra America Latina è in cammino” – ha detto il padrone di casa Fernando Lugo, salutando e ringraziando tutti i partecipanti del Forum, sottolineando come solo fino a qualche anno fa sarebbe stato impossibile pensare di avere un presidente indigeno e un ex desaparecido tra i suoi ospiti, senza dimenticare che lui è un ex sacerdote.

Riforma agraria, misure contro la militarizzazione del territorio e contro la criminalizzazione dei movimenti sociali dei popoli latinoamericani sono stati alcuni degli argomenti discussi durante la settimana in una serie di riunioni autogestite, ma anche il rispetto della madre terra contro lo sfruttamento scellerato, unico modo per difendersi dai cambiamenti climatici che colpiscono maggiormente questa parte del mondo, la difesa della sovranità alimentare ma anche territoriale.

A questo proposito il presidente del Paraguay ha parlato dei pericoli che minacciano l’America Latina, ricordando come esempio il colpo di stato in Honduras: “La pace nella regione è un elemento di democratizzazione che stanno vivendo i nostri paesi, contro i tentativi di destabilizzazione. Lo scontro diretto non fa parte della nostra agenda e ne è prova il caso Colombia-Venezuela”. Il presidente dell’Uruguay, José Mujica, ha sottolineato il fatto che non esiste un solo modello di democrazia, e oggi si devono tenere in considerazione una molteplicità di modelli: “La libertà deve essere pensata partendo dalla diversità” – ha aggiunto Mujica.

Evo Morales, presidente dello Stato Plurinazionale di Bolivia, ha messo in evidenza i risultati economici raggiunti dal suo governo: “Negli ultimi 40 anni la Bolivia aveva una situazione permanente di deficit fiscale, ora è un paese con entrate medie e questo grazie al recupero delle risorse naturali e al fatto di essersi liberato dai condizionamenti del G7 e del Fondo Monetario Internazionale – ha dichiarato Morales – questa è una ribellione democratica contro l’imperialismo, e adesso stiamo meglio di prima”.

Rispetto ai cambiamenti climatici il presidente boliviano ha denunciato gli effetti che sta subendo il suo paese e quelli a livello globale: “Incendi, inondazioni, siccità, fenomeni mai visti prima in alcune parti del mondo stanno aumentando e aumenteranno ancora – ha detto Morales – e di fronte a questa situazione il capitalismo anziché ridurre i gas effetto serra, pensa a salvare e aumentare i suoi affari attraverso il mercato del carbonio, direttamente collegato ai nostri boschi. Per questo siamo giunti alla conclusione che in questo secolo è importante difendere la madre terra per difendere i diritti umani”.

Tra le tematiche più interessanti di questa settimana all’insegna della ricerca di alternative plausibili all’attuale modello di sviluppo, ci sono sicuramente la questione agrobusiness e sovranità alimentare. Diverse organizzazioni campesine e indigene e ambientaliste come la Coordinadora Latinoamericana de Organizaciones del Campo (CLOC) Vía Campesina (VC) il Grupo Erosión Tecnología y Concentración (ETC), Amigos de la Tierra e Grain si sono trovate d’accordo nella necessità di lottare insieme contro l’espansione dell’agrobuisness in America Latina, pratica che tende ad impossessarsi delle terre più per produrre alimenti per gli animali e combustibili da utilizzare come fonti energetiche che per nutrire gli esseri umani, provocando non solo seri danni al territorio e al clima ma anche lo spostamento di milioni di famiglie di campesinos e indigeni costretti a rifugiarsi nelle città.

Martín Drago di Amici della Terra Uruguay, ha dichiarato che “l’agrobuisness si sta appropriando della biodiversità dei popoli attraverso le grandi multinazionali, le banche il commercio internazionale, dominando i modelli di consumo e i prezzi degli alimenti a livello mondiale”. Ha poi criticato le grandi organizzazioni come il Fondo Monetario Internazionale ma anche la FAO e la Banca Interamericana per lo Sviluppo che secondo l’attivista “non sono al servizio della gente ma rispondono gli interessi delle aziende. Questo crea un’architettura internazionale attraverso i trattati di libero commercio e costringono i paesi a rinunciare alla propria sovranità” – ha aggiunto Drago.

Spiegando il sistema per cui le eccedenze della produzione industriale e i profitti del sistema finanziario confluiscono verso l’agricoltura facendole perdere la propria autonomia e rendendola un settore sul quale investire per continuare ad accumulare capitali, Drago ha parlato di una vera e propria offensiva contro l’agricoltura campesina: “La frontiera agricola è globale, si perdono agricoltori e contadini, che si trasformano in mano d’opera o sfollati. Gli alimenti diventano merce per riprodurre il capitale”. Monsanto, Bayer, Syngenta, Cargill, Dreyfus, sono tra le principali multinazionali responsabili di questa tendenza, “questo investimento di capitali implica un flusso continuo di capitale verso il settore agricolo che diventa un settore appetibile nel quale investire”.

E questo ha un impatto negativo sugli esseri umani, sopratutto non aiuta a combattere la fame. Il leader di Amici della Terra ha citato i dati della FAO secondo i quali nel mondo si producono sufficienti alimenti per alimentare tutto il pianeta, tuttavia ci sono più di un miliardo di persone che soffrono la fame.

Altra questione affrontata è quella delle coltivazioni monocoltura dove il modello di produzione è impostato verso l’esportazione su larga scala. Diffusosi negli ultimi decenni in America Latina, questo modello ha riempito i campi del continente di monocolture e piantagioni transgeniche, provocando la devastazione delle terre coltivate da contadini e abitate da indigeni ma anche la perdita della biodiversità, riducendo la terra utilizzabile dalle famiglie. Un esempio fatto nell’incontro paraguayano è stato quello del Costa Rica, dove si sta vivendo una vera e propria catastrofe ambientale e rurale per la coltivazione dell’Ananas per il mercato internazionale, principalmente per quello europeo.

Gustavo Oreamuno dell’organizzazione costaricana Ditso ha parlato di coltivazioni di ananas che si estendono per 42 mila ettari nel 2009 nel suo paese, piazzandosi al quarto posto tra i prodotti esportati e la prima per estensione. Oreamuno ha spiegato che la produzione dell’ananas negli ultimi 20 anni è aumentata del 7600%, coltivazioni che hanno un alto costo per le comunità e altissimi profitti per le multinazionali esportatrici. “E’ nata la necessità di organizzarsi da parte delle comunità, per far fronte alle espropriazioni della terra dei contadini per le coltivazioni dell’ananas e per rivendicare la sovranità alimentare” – ha denunciato il rappresentante del Costa Rica.

Gli attivisti hanno sottolineato come gli effetti di questo modello sono sempre più visibili anche in campo ambientale, distruzione della biodiversità, la perdita di foreste tropicali, inquinamento e alterazioni del ciclo dell’acqua, la perdita di qualità del suolo. L’agricoltura industriale è responsabile del 25% delle emissioni di biossido di carbonio, e dell’80% di protossido di azoto nel pianeta. Per i movimenti sociali presenti al Social Forum delle Americhe l’agricoltura contadina è anche una proposta per il raffreddamento del pianeta. Insomma dal Paraguay arriva la necessità di un cambio radicale di modello che si potrebbe riassumere nelle parole di Silvia Ribeiro di Grupo Erosión Tecnología y Concentración ETC-Messico: “L’agricoltura è una cultura”.

Elvira Corona (Inviata di Unimondo)

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