Da 8 anni in Italia, a Biella, Ibrahim era nella tipica condizione di chi cerca lavoro e cambia lavori che restano precari. Da qualche mese lavorava per un “artigiano edile”, affittava, per vivere, uno spazio di proprietà dell’imprenditore.
Uno di quei padroni che gli osservatori economici considerano la spina dorsale del nostro apparato produttivo! Quelli che assumono in nero e sempre a termine, quelli nelle cui imprese lavorano prevalentemente migranti, quelli nelle cui imprese accadono molti incidente sul lavoro, quelli che evadono sempre le tasse, uno di quelli che spesso non rispetta i patti.
Uno di quelle figure economiche dell’Italia dell’oggi e del domani ha ucciso Ibrahim con nove coltellate e l’ha gettato in un fosso nelle risaie vercellesi, per nasconderlo e per dimenticarlo.
L’ha ucciso perché chiedeva di essere pagato. A lavoro terminato, non lo pagava da mesi, chiedeva ciò che gli spettava. Ma il padrone è padrone e ha messo fine alle richieste insistenti del migrante senegalese.
Chissà se uccidendolo gli gridava “negro di merda!”. L’artigiano forse, semplicemente, credeva che le sue esigenze venissero prima di quelle di Ibrahim, perché lui è italiano e anche il padrone.
Lui è certamente colpevole: ha confessato. Ma ci sono molti altri complici, come chi pensa che prima ci siano i diritti degli italiani o che le nostre origine siano certamente cristiane o chi dice che “questi”, prima di tutto, debbano adeguarsi alle nostre regole o chi ha introdotto il reato di clandestinità e ha istituito i CPT. Tutti questi hanno aggiunto un po’ di forza a quelle coltellate e insieme l’hanno spinto nel fosso, per dimenticarlo, per cancellarlo! Alla fine hanno solo ammazzato “un negro di merda”.
marco sansoè
PS: il Laboratorio sociale “la città di sotto” abbraccia Adam, il fratello di Ibrahim, un nostro amico.