Le anime (poco) arabe del Salone del Libro di Torino 2016, di Chiara Comito

C'è un posto per tutti su questa terraA giorni apre il Salone del Libro di Torino. Questo è stato dedicato alla cultura araba ma leggendo il programma, i nomi degli invitati e gli eventi ci pare un po’ distante da una “ricerca” intorno alla ricchissima letteratura araba contemporanea, ricerca alla quale si dedicano alcune piccole case editrici, molti studiosi e traduttrici.

Ci pare che, come capita spesso, tutto ruoti intorno a nomi noti (che scrivono prevalentemente in lingua non araba) e case editrici di rilievo che non si occupano specificatamente di cultura e letteratura araba come invece fanno altre piccole case editrici.  

Noi speriamo che sia solo la subalternità ai potenti dell’editoria (comunque grave) e non il sintomo di un atteggiamento sciatto e poco interessato degli organizzatori o, peggio ancora, l’intenzione deliberata di tenere il “tema ospite” sotto tono per non destare preoccupazioni o malumori…

Comunque facciamo nostro l’intervento di Chiara Comito del blog editoria araba che qualche giorno fa ha pubblicato questo commento sul Salone.  Buona lettura

 

LE ANIME (POCO) ARABE DEL SALONE DEL LIBRO DI TORINO 2016

C’è una bellissima riflessione che Mahmud Darwish ha fatto sulla sua identità araba: per il poeta dei palestinesi e degli arabi, la sua patria era la sua lingua, l’arabo.

“Sono arabo, perché parlo arabo. […] Sono arabo, e la mia lingua ha conosciuto la sua fioritura più rigogliosa quando era aperta sugli altri, sull’umanità intera. Tra gli elementi del suo sviluppo vi è il pluralismo. Leggo così i secoli d’oro della cultura araba. In nessun periodo della Storia siamo stati totalmente ripiegati su noi stessi, come alcuni vorrebbero vederci oggi. Nella mia identità non ci sono ghetti. Il mio problema consiste in ciò che l’Altro ha deciso di vedere in essa. Perciò gli dico: Ecco la mia identità, dividila con me, è sufficientemente ampia da accoglierti; e noi, gli arabi, non abbiamo avuto vera civiltà se non quando siamo usciti dalle nostre tende per aprirci al molteplice e al diverso. […] Io sono arabo, perché l’arabo è la mia lingua e, nel dibattito attuale, conduco una difesa strenua della lingua araba, non per salvaguardare la mia identità, ma per la mia esistenza, la mia poesia, il mio diritto di cantare”.    (Tratto da Oltre l’ultimo cielo. La Palestina come metafora, epoché 2007)

In arabo parlava, in arabo scriveva, Mahmud Darwish. La sua patria – lui palestinese, esule nella sua terra, che aveva vissuto e viaggiato in altri paesi arabi ed europei – era la sua lingua. Araba la lingua, araba l’identità. Araba la lingua che gli ha permesso di venire tradotto in decine di lingue, nonostante la lingua fosse proprio quell’arabo, quella lingua, che oggi è quasi sotto accusa, perché è anche la lingua in cui fu redatto il Corano, il testo sacro dei musulmani, oggi spauracchio di molti.

Ma araba è anche la lingua in cui sono state scritte le poesie preislamiche, l’eredità culturale e letteraria di tutti gli arabi, il canone per eccellenza.

L’arabo è oggi la lingua in cui si esprime la maggior parte degli scrittori di lingua araba: quelli che vivono ancora nei paesi di lingua araba, e alcuni di quelli che vivono nella diaspora. E’ una lingua comune, patrimonio della storia culturale degli arabi, ma è soprattutto la lingua con cui gli scrittori arabi si rivolgono al proprio pubblico di lettori arabofoni. Non l’inglese o il francese, ma l’arabo: la lingua madre, la lingua della storia e della cultura araba, la lingua per cui non c’è bisogno di intermediazione culturale, che non si porta dietro alcuna contaminazione coloniale. L’arabo non ha in sé i germi di una cultura altra, non reca con sé alcuna distanza, nè i compromessi della storia.

Avendo a mente la riflessione di Darwish, mi viene da dire che c’è poco arabo in questo focus sulle letteratura arabe del salone di Torino, curato da Paola Caridi e Lucia Sorbera, che era nato con l’idea di far conoscere la letteratura araba al pubblico italiano.

Tanto per cominciare, il programma del focus “Anime arabe”, pubblicato ieri sul sito del Salone, è un bel mix di tanti argomenti che come al solito si mischiano quando di parla di mondo arabo: c’è il panel sulla Siria, con la presentazione del nuovo libro sull’esilio di Shady Hamadi (scrittore italo-siriano); due panel sui musulmani (non so se vale la pena ricordare che lo Stato di religione musulmana più numeroso è l’Indonesia, che non è un paese arabo); uno su Kobane, con l’italiano Karim Franceschi, unico combattente italiano a lottare contro l’ISIS (spiegatemela questa vicenda perché mi sfugge il senso); uno sulla matematica araba e uno politico sui mukhtafun, i desaparecidos d’Egitto.

Poi ci sono gli incontri letterari, in genere organizzati secondo il modulo: scrittore “arabo” + giornalista/accademico italiano esperto di questioni arabe/arabo-islamiche.

Da una parte abbiamo i francofoni: Boualem Sansal (algerino); Tahar Ben Jelloun (marocchino che vive in Francia); Leila Slimani (marocchina, vive in Francia); Mahi Binebine (marocchino, vive in Marocco); Yasmina Khadra (algerino, vive in Francia); Karim Miské (franco-mauritano, vive in Francia); e gli anglofoni: Saleem Haddad (di discendenza irachena, tedesca, libanese e palestinese, vive in Inghilterra); Ahdaf Soueif (egiziana, vive tra Londra e il Cairo).

Dall’altra abbiamo gli arabofoni: Adonis (siro-libanese, vive in Francia: al Salone presenta il suo ultimo saggio Islam e violenza, scritto in francese); May Telmissany (egiziana, vive in Canada); Sinan Antoon (iracheno-statunitense, vive negli USA), Muhammad Aladdin (egiziano, vive al Cairo).

La preponderanza di autori che si esprimono in francese e inglese sui loro colleghi arabofoni è abbastanza evidente. Vi risparmio la pappardella su quanto:

  1. a) la lingua non sia mai uno strumento neutrale (se uno scrive in arabo si rivolge in primis agli arabi, se si esprime in inglese/francese si rivolge prima a francesi, inglesi o francofoni e anglofoni: la capite la differenza?) e su quanto:
  2. b) ancora i grandi editori italiani puntino spassionatamente sugli autori arabi francofoni e anglofoni per una serie di motivi che vanno da: li capiscono meglio perché gli editori spesso parlano inglese e francese; ci sono pochi consulenti dall’arabo nelle case editrici; ci sono spesso preconcetti sull’arabo come lingua, che sono duri a morire.

Tutti, ad eccezione di Telmissany e Antoon, sono al Salone per presentare i loro libri (saggi/romanzi), da pochissimo tradotti in italiano e pubblicati da editori italiani. Ed ecco anche perché il programma di “Anime arabe” sembra essere stato composto da dueanime, due cervelli: da una parte si ricerca il sensazionalismo, con la presenza di autori appena pubblicati che hanno scritto di temi scottanti come il sesso e l’Islam, e soprattutto di sesso nell’Islam. Direi che un picco inarrivabile si tocca con l’incontro sull’Islam tra Adonis, autore appunto del recente Violenza e Islam, e Maurizio Molinari, direttore de La Stampa, notoriamente islamofobo, oltre che un riconosciuto plagiatore. Si prevedono scintille (di orrore).

Dall’altra ci sono i pochi panel più di “sostanza” (sebbene esageratamente incentrati sull’Egitto): quelli che vedono protagonistiMay Telmissany, Sinan Antoon e Ahdaf Soueif, dedicati alla letteratura araba delle prigioni, alle dediche a Fatima Mernissi, Assia Djebbar, Mahmud Darwish e Nizar Qabbani, alle riflessioni sul rapporto tra letteratura e potere nei paesi arabi. Tuttavia, l’unico romanzo di un arabofono ad essere presentato è Cani sciolti, di Muhammad Aladdin (Il Sirente 2015, trad. di B. Benini), che non è affatto un bel libro.

Mi sembra evidente il prepotente zampino degli editori italiani nell’aver orientato le scelte del focus arabo: gli autori francofoni spadroneggiano e sono ingombranti. Rappresentano un peso che sicuramente ha condizionato lo spazio di manovra delle due curatrici, cosa che si evince anche dal fatto che i due unici autori di spessore (non decisi dagli editori), May Telmissany e Sinan Antoon, sono stati impiegati in più panel. Ahdaf Soueif, altra intellettuale di peso, è addirittura impegnata in tre incontri.

Tra l’altro, vale la pena sottolineare che nel comunicato stampa ufficiale del Salone si citano tutti i libri pubblicati dagli autori ospiti, tranne quelli di Telmissany e Antoon, autori di due romanzi arabi di rilievo nel panorama letterario contemporaneo di lingua araba, entrambi tradotti in italiano da Ramona Ciucani: Dunyazad (ev casaeditrice) eRapsodia irachena (Feltrinelli). Lapsus o scarsa conoscenza?

Inoltre, non c’è una effettiva rappresentanza geografica della letteratura araba in questo focus: c’è una stragrande maggioranza di marocchini, algerini e soprattutto di egiziani. Già, c’è un sacco di Egitto in questo focus (ci sono anche due fumettisti egiziani, impiegati al di fuori di Anime arabe), e questo credo sia dovuto al background professionale delle due curatrici. Mancano gli autori libanesi e i palestinesi, che la fanno da padrone in quanto a romanzi tradotti in italiano. Bei romanzi, mi permetto di sottolineare.

Non so quanto il programma venuto fuori dal compromesso tra gli organizzatori del Salone, gli editori, l’assenza di grandi sponsor e le due curatrici soddisfi queste ultime.

Per quanto mi riguarda, è alquanto una delusione, e a farne le spese sono proprio gli scrittori e la letteratura araba.

Editoria araba, https://editoriaraba.wordpress.com , 28/4/2016

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