L’Africa e noi. La traversata inarrestabile, di Gian Paolo Calchi Novati

io non respingoRenzi, Gen­ti­loni, Alfano, Moghe­rini, non­ché Sal­vini come rap­pre­sen­tante della poli­tica «ruspante» che appro­fitta del «non detto» per gri­dare che «il re è nudo», fareb­bero bene per prima cosa a con­sul­tare la pro­pria coscienza.

Subito dopo, dovreb­bero sfor­zarsi di usare ter­mini adatti al tema dolo­roso dell’emigrazione irre­go­lare (non clan­de­stina, per­ché avviene alla luce del sole o delle stelle) verso l’Italia mediante bar­che e bar­coni che spesso affondano.

Anche la let­tura di un libro di sto­ria li aiu­te­rebbe a capire che il para­gone fra que­sto traf­fico e il com­mer­cio degli schiavi è inap­pro­priato. Sor­prende che vi fac­ciano ricorso pure intel­let­tuali come Ainis e Magris. Di chi sareb­bero «schiavi» i pro­fu­ghi? Dei mer­canti o del mer­cato? Se i due feno­meni aves­sero vera­mente qual­che simi­li­tu­dine, l’accostamento equi­var­rebbe ad ammet­tere che in Ita­lia, in Europa e nel mondo indu­stria­liz­zato vige un sistema di pro­du­zione pros­simo alla schia­vitù o comun­que retto da rap­porti così ini­qui da far pen­sare alla schiavitù.

La tratta in dire­zione delle Ame­ri­che che durò due secoli e mezzo fra Cin­que­cento e Otto­cento pre­ve­deva raz­zie di per­sone libere, prima uomini e in un secondo tempo anche donne, mai bam­bini, desti­nati a essere tra­spor­tati attra­verso l’Atlantico e ven­duti come schiavi una volta giunti sulla coste dell’America. Le raz­zie erano com­piute a cura di auto­rità afri­cane che prov­ve­de­vano all’accompagnamento dall’interno alla costa.

Le com­pa­gnie, varia­mente legate a paesi euro­pei, com­pa­ri­vano nel momento della com­pra­ven­dita e quindi dell’imbarco e della par­tenza. I punti di attracco veni­vano chia­mati «del non ritorno”» Sor­gono nell’Africa occi­den­tale – a Cape Coast, Elmina, Gorée – i memo­riali e i musei dell’Olocausto nero. Gli schiavi erano inca­te­nati e imbar­cati con la forza e con­tro la loro volontà. Anche i negrieri del Due­mila vanno a cer­care il loro bot­tino ma si tratta comun­que di gente dispo­ni­bile e che addi­rit­tura li cerca pur cono­scendo le vio­lenze e i soprusi che tutto ciò comporterà.

Le navi negriere com­pi­vano il loro ser­vi­zio per conto degli Stati euro­pei. Per più di due secoli furono viaggi asso­lu­ta­mente «legali» ancor­ché mostruosi da un punto di vista morale. L’unico aspetto comune è l’alto tasso di mor­ta­lità che com­por­ta­vano e com­por­tano le due tra­ver­sate. La tratta degli schiavi divenne ille­gale solo con la sua inter­di­zione all’inizio dell’Ottocento sotto la spinta dell’abolizionismo di mis­sio­nari e menti illu­mi­nate, prima in Inghil­terra e poi negli altri paesi euro­pei. La schia­vitù fu abro­gata qual­che decen­nio dopo la proi­bi­zione della tratta. A que­sto punto le navi negriere erano per­se­guite per­ché vio­la­vano una norma inter­na­zio­nale. Gli schiavi libe­rati veni­vano sbar­cati dalla Royal Navy in Sierra Leone (da altre unità navali in Libe­ria, Gam­bia o Gabon).

I migranti di oggi, con molti bam­bini al seguito, espri­mono così il desi­de­rio di lasciare la terra dove sono nati, o dove si tro­vano. È l’emigrazione della dispe­ra­zione. L’emigrazione sognando un miglio­ra­mento eco­no­mico è quasi scom­parsa. Quella che pre­vale è un’opzione spon­ta­nea e insieme for­zata per sfug­gire a una non-vita per l’incombere di eventi gra­vis­simi che in parte, attra­verso guerre che hanno aumen­tato ovun­que la radi­ca­liz­za­zione dei con­flitti e la desta­bi­liz­za­zione regio­nale, sono stati indetti, pro­mossi o soste­nuti pro­prio da noi, Stati Uniti e Europa, Ita­lia compresa.

C’è ancora qual­cuno, a Roma e Bru­xel­les, che vor­rebbe lan­ciare un’altra «ope­ra­zione mirata». Come se fos­sero gli sca­fi­sti a pro­durre i pro­fu­ghi e non viceversa.

Qual­cosa del genere fu fatto in Alba­nia, dove erano gli alba­nesi però a par­tire, avendo a poca distanza le pro­prie case rela­ti­va­mente acco­glienti. Se mai scom­pa­ris­sero scafi e sca­fi­sti dai porti libici, è sicuro Renzi che quel milione di afri­cani neri che – a quanto si con­ti­nua a ripe­tere – pre­mono sulle coste della Libia e ai suoi con­fini per cogliere l’occasione del grande balzo sarebbe un atto di giu­sti­zia e un fat­tore di stabilizzazione?

Gli sbar­chi e i nau­fragi stanno diven­tando così fre­quenti e ingenti da susci­tare, giu­sta­mente, un allarme dif­fuso. Qual­siasi poli­tica per essere sen­sata deve anzi­tutto dia­gno­sti­care la natura vera e non imma­gi­nata del pro­blema. Le misti­fi­ca­zioni let­te­rali non gio­vano a fare chia­rezza e con­tri­bui­scono a con­fon­dere un’opinione pub­blica già disorientata.

L’uso della forza non è una solu­zione. Sarebbe l’epitaffio di una poli­tica con­fer­mando che essa ormai cono­sce solo la guerra. Ci sarebbe biso­gno se mai di una spe­cie di «lega­liz­za­zione». Il traf­fico attuale è igno­bile ma dov’è il traf­fico nobile?

Nes­suno pos­siede ricette mira­co­lose da pro­porre e rea­liz­zare anche se – senza andare troppo lon­tani – è accer­tato che Mare Nostrum fun­zio­nava meglio di Tri­ton. Spe­ra­bil­mente le cifre che cir­co­lano sono esagerate.

Comun­que i flussi migra­tori fra paesi del Sud in uscita e in entrata sono di gran lunga supe­riori quan­ti­ta­ti­va­mente ai flussi che arri­vano in Europa. Il para­digma deve essere il salvataggio-accoglienza e non il respingimento-esclusione o il «con­tra­sto» (altro ter­mine mai spie­gato nella sua dina­mica e pro­ba­bil­mente con­tro le leggi). Chi parla di «blocco navale», ovun­que eser­ci­tato e a qua­lun­que distanza fra la costa nor­da­fri­cana e gli approdi in Ita­lia o in altri luo­ghi della sponda set­ten­trio­nale del Medi­ter­ra­neo, ha il dovere di spe­ci­fi­care se il pro­po­sito è di impe­dire il tran­sito o di age­vo­larlo evi­tando attra­ver­sa­menti troppo peri­co­losi e le tra­ge­die quotidiane.

C’è un pre­ce­dente che può tor­nare utile come caso di stu­dio. Nella seconda metà degli anni Set­tanta del secolo scorso, l’esodo in massa dei boat peo­ple dall’Indocina – anche allora dopo una ter­ri­bile guerra espor­tata dagli Stati Uniti, non si sa se vinta o persa – non fu sen­tito o pre­sen­tato come una «minac­cia». I pro­fu­ghi veni­vano assi­stiti e inte­grati. Pazienza se la buona volontà rien­trava nella pro­pa­ganda anticomunista.

Non risulta nem­meno che chi scam­pava ai vopos messi a pre­si­dio del pas­sag­gio fra Ber­lino Est e le luci di Ber­lino Ovest fosse pena­liz­zato e ripor­tato indie­tro dai governi dei paesi occi­den­tali. Schind­ler e Per­la­sca che, senza senza lucro alcuno e in un’emergenza del tutto diversa (ma a leg­gere i gior­nali anche que­sta è «epo­cale»), hanno aiu­tato tanti per­se­gui­tati a «fug­gire» sono addi­rit­tura pas­sati alla sto­ria come eroi.

il manifesto, 24/4/15

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