Incarcerazioni facili problema italiano, di P. Persichetti

Sempre a proposito della “società del controllo”, della deriva securitaria e del rispetto della persona…

marco

 

Dal ’45 a oggi 4 milioni e mezzo vittime di errori giudiziari. Un terzo dei detenuti in attesa di processo

Incarcerazioni facili problema italiano

Paolo Persichetti

 

Dal dopoguerra ad oggi sono circa quattro milioni e mezzo le persone coinvolte in errori giudiziari, ingiusta detenzione o che hanno visto concludersi con un proscioglimento il procedimento penale aperto nei loro confronti. Una porzione di popolazione grande quanto un’intera regione. Solo dal 1980 al 1994 quasi un imputato su due è stato prosciolto; il 43,94 per cento delle persone sottoposte a giudizio, oltre un milione e mezzo di cittadini dei tre e mezzo passati davanti ad un giudice. E tra questi ben 313 mila sono finiti prosciolti con formula piena.

Una cifra immensa che oltre a far riflettere dovrebbe sollevare un serio “allarme sicurezza” contro il funzionamento della Giustizia, dell’inchiesta e del processo penale, se solo questi dati fossero divulgati in modo capillare. Un vero paradosso, se è vero che una delle maggiori fonti di rischio per la libertà dei viene proprio da quella magistratura a cui la costituzione attribuisce, al contrario, una funzione di tutela e garanzia attraverso le leggi dei cittadini. Casi di omonimia, distrazioni, perizie errate, errori di calcolo, ma anche ragioni sistemiche ben più profonde.
Per Ferdinando Imposimato il problema risiede nel carattere pressoché indiziario che ormai caratterizza gran parte dei procedimenti penali. Avendo lui stesso praticato per decenni questo metodo d’indagine, l’ex magistrato istruttore riesce a descriverne molto bene la logica perversa: «troppo spesso – spiega – le inchieste sono basate su fatti desunti dall’esistenza di altri fatti. In pratica il risultato di una deduzione logica, terreno ideale per l’errore. Troppo spesso – aggiunge – l’indizio altro non è che un sospetto tramutatosi troppo velocemente e che a sua volta finisce ancora più rapidamente per trasformarsi in prova».

Eppure il senso comune, quello che i media raccontano orientando l’opinione pubblica, dicono l’esatto contrario. L’insicurezza intesa come mera percezione, sensazione sociale, stato d’animo, è in costante aumento; come la convinzione, rilanciata dalla cronaca di questi ultimi giorni, che vi sia in giro troppo lassismo della legge, un dilagare d’impunità garantita e scarcerazioni facili.

Una dettagliata indagine dell’Eurispes, resa nota all’inizio dell’anno, racconta tuttavia una realtà ben diversa. Al 30 giugno 2008, dei 55.057 mila detenuti presenti nelle carceri italiane (oggi la cifra è vicina alle 64 mila unità, oltre 20 mila in più della capienza tollerata), soltanto 23.243 stavano scontando una sentenza definitiva. Poco più di un terzo. Tutti gli altri, ovvero la maggioranza, erano in attesa di giudizio. Tra questi la quota più alta riguarda coloro che sono ancora in attesa del giudizio di primo grado, ben 15.961. Il numero di quelli che hanno interposto appello sono, invece, 9.115. I ricorrenti in cassazione 3.451. Da allora la situazione non è mutata, semmai si è ulteriormente appesantita. Statisticamente quasi la metà dei quindicimila in attesa di primo grado finiranno prosciolti o in prescrizione.

Ciò vuol dire che per un’altissima porzione della popolazione penitenziaria attuale la custodia cautelare è un passaggio inutile, oltre che dannoso e pregiudiziale. Dato che ribalta completamente l’opinione diffusa di una giustizia dalle “scarcerazioni facili”. Semmai il problema è esattamente inverso. Siamo il Paese delle incarcerazioni fin troppo facili, dovute ad un sistema penale che nonostante la riforma del codice di procedura del 1989 vede tuttora un forte squilibrio in favore della pubblica accusa. Non è un caso se le regioni dove più alta è la percentuale di errore e maggiore è l’impiego della custodia cautelare sono quelle meridionali. La legislazione penale speciale applicata contro le forme di criminalità organizzata, facendo leva sul reato associativo amplifica il carattere pregiudiziale delle inchieste. Ne consegue che la definizione della responsabilità personale diventa più incerta, mentre il livello di tutela delle garanzie giuridiche si abbassa paurosamente. Una legge del 1988, contrastata duramente dalla magistratura, ha disciplinato la responsabilità civile dei giudici.

Da allora è possibile avviare delle procedure di risarcimento per «ingiusta detenzione». Il legislatore ha affrontato, in modo tuttavia ancora molto insoddisfacente, solo un aspetto del problema. Nel nostro ordinamento, infatti, non esiste una norma che indennizza “l’ingiusta imputazione”. Questa anche quando non si somma alla ingiusta detenzione, risulta comunque estremamente pregiudizievole per la persona messa sotto accusa. Oltre al costo umano, gli errori giudiziari hanno un prezzo sociale e erariale importante. Nel corso degli ultimi 5 anni lo Stato ha pagato circa 213 milioni di euro di risarcimento, la quasi totalità per ingiusta detenzione cautelare, molto meno per gli errori giudiziari.

 Liberazione, 14/08/2009

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